Daniela Manzolli

Padova 1975
Vive e lavora a Venezia
Studio visit di Stefano Coletto
4 ottobre 2023

Daniela Manzolli mi riceve nella sua casa studio nel sestiere Castello, lì dove altri artisti abitano e lavorano, vicino all’Arsenale. Prima di entrare ci accolgono esuberanti piante in vaso e spontanee tra i mattoni. Entrando, l’area studio è un tutto pieno di libri, fotografie, opere, quasi opere, scrivania, sedie, divano, computer, lampade; Daniela accende un proiettore, fa scendere uno schermo che copre la libreria a parete e cominciamo. Daniela si diploma prima all’Accademia di Venezia con Ernesto Luciano Francalanci, straordinario docente dalle ammalianti lezioni teoriche, quindi a Brera con le specializzazioni di rito. I suoi ambiti di interesse sono l’installazione polisensoriale, la scultura, il video, la video-documentazione. Partecipa, come molti giovani nel periodo di formazione e gravitanti nell’area veneziana, a numerose collettive in spazi indipendenti e istituzionali, tra il 2003 e il 2006, tra i quali l’87° e l’88° Collettiva alla Bevilacqua La Masa, Gemine Muse e Quotidiana a Padova e Atene, curate rispettivamente da Guido Bartorelli, Stefania Schiavon e Virginia Baradel; Let the Body Play a cura di Katia Baraldi e Daniela Santellini presso la Jarach Gallery di Venezia, e così via… Scorrendo il portfolio incontri varietà di tecniche, ricchezza di contenuti con cartelle di lavoro che si estendono nel tempo, alimentandosi di ore di girato, di relazioni e amicizie attorno ai personaggi narrati. Così Accoppiata a giro, videoinstallazione del 2006-2009, che nasce come studio del linguaggio e dei gesti di una comunità di giocatori che si ritrova nell’agenzia ippica di Venezia; oppure Le prime 5 note di Magda Oliviero, storia dell’omonima soprano, del 1998-2009, le sculture-alveari La cera è persa del 2008-2022.

Quello che caratterizza il percorso di Daniela è la qualità e la quantità delle collaborazioni, tra teoria e pratica. Insegna Discipline plastiche al liceo artistico Michelangelo Guggenheim, ma è stata assistente allo IUAV, al Politecnico, ha insegnato allo IED. Ha frequentato i cenacoli bolognesi di Gino Gianuizzi e Anteo Radovan, collaborando con Marcello Maloberti, Emilio Fantin, Franco Vaccari, e con teorici come Luca Panaro, lo stesso Francalanci.

L’esperienza di questo studio visit conferma che non sono solo gli artisti a produrre le loro opere, bensì un contesto, una comunità di persone attive intorno a loro: la capacità di relazione come capacità di produzione. Daniela, con semplicità e sensibilità all’ascolto, accenna a testi scientifici, sculture in cantiere, e quindi alla indispensabile necessità di trovare il tempo e i fondi per i propri lavori. Tra i progetti in fieri, mi racconta di un libro d’arte che vorrebbe editare. Mi mostra il volume in latino Lo Zodiaco di Pier Angelo Manzolli, scritto nel Cinquecento da questo suo presunto antenato; Lo Zodiaco della vita fu messo all’indice in Italia, ma tradotto e divulgato all’estero. Con il lavoro Apoteosi per Marcello Palingenio Stellato Danielane prevede la pubblicazione in italiano illustrata da più di quaranta artisti anche noti, liberando il libro da quella condanna.

Certo, la capacità tecnica in progetti collaborativi, la possibilità di concentrazione per le proprie passioni, autonoma dal mercato, possono distrarre dalla necessità di sintesi sulla propria ricerca, dalla selezione dell’attività espositiva, dal display dell’opera nel confronto con una parte curatoriale. Per cui si ha la sensazione che Daniela sia sempre in una fase di sperimentazione come in Un’idea campata in aria, progetto video con drone, realizzato con Sara Tirelli, o nei frammenti video che chiama Schizzi. Si staglia invece nitida la ricerca sulla natura, sugli insetti e i piccoli animali che la abitano. Daniela li incontra vicino alla sua casa o a quella d’infanzia (zanzare, moscerini, tafani, pesciolini d’argento, farfalle, libellule) e inframezzano spesso la sua narrazione video. Dalla ricerca fotografica in notturna, con distese di erba flashata, ai particolari di mosche e api, riprese come mutando la macchina fotografica o la videocamera in un microscopio verso il vivente (Cadendo dalle nuvole, La regione del rosso e il video Quasi mille battiti). Si tratta di un documentare audio-video analitico che si emoziona dei microcosmi di esseri anche morenti, ritrovati in semplici contesti quotidiani. «Ricercando una sorta di archetipo sensoriale o formale messo in gioco da alchimie di materiali e tecniche, mi piace scoprire anfratti poetici interconnessi tra loro, ma poco esplorati». Usciamo. Mi accorgo di non averle chiesto quali artisti l’hanno ispirata e le scrivo un messaggio al volo. «Sul video sicuramente Doug Aitken con cui ho seguito anche un workshop da studente, ma anche Franco Vaccari con cui ho collaborato dieci anni all’università, per quanto riguarda l’inconscio tecnologico, e poi tanti altri: Steve McQueen, ma anche Diana Thater, Diller + Scofidio, Janine Antoni, Bruce Nauman, Gary Hill, Gerry Schum, Robert Smithson, Gordon Matta Clark, Anton Corbijn, Paik, Pipilotti Rist, Tony Oursler, Zimmerfrei, e persino John Bock… ma potrei partire da Jules Marey e a volte mi sento un po’ Jonas Mekas… per non sconfinare nel cinema sperimentale… e in ricerche ibride legate a diverse discipline…». Amore per la conoscenza che l’arte produce.