Bernardo Tirabosco

Arezzo 1991
Vive e lavora ad Arezzo
Studio visit di Angel Moya Garcia
10 febbraio 2024

Nel centro storico di Arezzo, Bernardo Tirabosco ha lo studio all’interno dello spazio Sottofondo, apparentemente un fondo di medie dimensioni da poco ristrutturato che nasconde nel suo retro un altro ambiente affascinante e che scopriamo in un secondo momento. Diplomato alla triennale in Pittura con Sauro Cardinali e Renata Boero e al biennio specialistico con Nicola Renzi e Arthur Duff all’Accademia di Belle Arti di Perugia, la sua ricerca si è sviluppata a partire dallo studio dei materiali e delle tecniche grafiche, pittoriche e scultoree.

Le continue indagini su nuove possibilità di comunicazione fra bidimensionale e tridimensionale, la combinazione di diversi linguaggi artistici, ma soprattutto lo studio approfondito dei materiali e della loro storia che si evolve spesso in vere e proprie sperimentazioni di nuove soluzioni tecniche e formali, mirano a indagare vari aspetti della propria soggettività, racchiudendoli in narrazioni e cicli di lavori. Queste fasi sono caratterizzate dall’uso, di volta in volta, di una serie di materiali come cera d’api, saponi, ferro, piombo, legni antichi, tessuti e pigmenti che vengono portati fino al limite delle loro possibilità. Una ricerca costante, metodica e armonica fra sostanza, forma e luogo che gli permette di veicolare il proprio mondo all’esterno. Un ulteriore aspetto importante della sua pratica è quello installativo, come strumento di dialogo tra opera e contesto, in una relazione di influenza reciproca che origina un legame poroso tra tangibile e intangibile, recondito e manifesto.

Il suo lavoro si inserisce a pieno titolo in una cultura visiva che affronta la funzione o la disfunzione dell’immaginazione e riporta in primo piano l’interiorità dell’artista e la sua capacità di produrre storie e forme. L’ossessione per ogni singola sostanza lo collegano ad artisti che hanno interpretato la materialità dell’informe e dell’invisibile: dai colori stratificati di Jean Fautrier alle diverse lacerazioni di Lucio Fontana e Antoni Tàpies, dalle Combustioni e i Cretti di Burri alle le sperimentazioni di Manzoni e Urs Fischer, dalle statue ‘colanti’ di Cameron Jamie alle eteree astrazioni screpolate di Ryan Sullivan, senza dimenticare le fusione tra incorporeo e materico di Anish Kapoor.

Recentemente ha esposto una serie di carte marmorizzate, tagliate e ricomposte sempre in composizioni diverse, all’interno della collettiva Lingua morta, curata da Davide Silvioli nello spazio Divario a Roma, in cui il curatore segnalava «come una certa dimensione pittorica persista implicitamente nel presente artistico, anche mimetizzandosi in maniera magmatica in procedimenti e risultati quanto mai diversificati tra loro ed estranei alla nozione ordinaria di esercizio pittorico». A seguito di questa mostra, Tirabosco ha continuato a indagare questa tipologia di stampe, svincolandosi tuttavia da una pulizia e da un rigore formale troppo costretto nei limiti della cornice. Nel retro dello spazio, una serie di opere concluse coabitano con prove aperte, tentativi ancora irrisolti o primi abbozzi di nuove ricerche, come dipinti su teloni plastificati che si staccano dal telaio, abbandonando la staticità, i limiti e l’ubicazione del supporto per interagire con lo spazio circostante, maschere da guerra realizzate con resina, pigmenti e corde o lavori realizzati con sapone che iniziano a sciogliersi sul pavimento.

La produzione diversificata, il continuo cambiamento formale in base ai materiali utilizzati e la conseguente difficoltà a individuare una riconoscibilità o uno stile proprio, che possa comporre un insieme organico, potrebbe rappresentare un sintomo di debolezza strutturale nella sua ricerca.

Tuttavia, emerge come non ci sia nessuna forzatura intellettuale, nessun riferimento teorico concreto per legittimare la propria prassi, nessuna moda da seguire o filone da rispettare, solo un’ossessione per la potenzialità dei materiali in una ricerca costante e un’onestà intellettuale più che rara nel sistema dell’arte attuale.