Alberto Scodro

Marostica 1984
Vive e lavora a Nove
Studio visit di Stefano Coletto
15 ottobre 2023

Alberto Scodro si forma come restauratore e in seguito consegue la laurea all’Università IUAV di Venezia. Lavora in un luogo che è insieme un laboratorio, un magazzino, un giardino, un ricovero di strumenti, un frutteto: siamo a Nove, tra Marostica e Bassano del Grappa. Si tratta di una zona, vicino al fiume Brenta, nota per la produzione della ceramica, dove spicca l’operosità degli artigiani, piccoli imprenditori e insieme inventori di tecniche raffinate. Alberto conosce bene queste fucine, in cui lavora sin da giovanissimo. Lo percepisci ostinato, resiliente ma flessibile, aperto al confronto. Qui alimenta la sua ricerca e, spesso, anche con aziende e artisti, come se alcune particolari produzioni sappia farle solo lui.

Durante la frequentazione degli atelier alla Bevilacqua La Masa, tra il 2009 e il 2010, progetta e riflette sulle tensioni tra architettura e natura, come teatro di forme e forze in atto e in potenza; realizza in esterno interventi site-specific come Galera, quindi Against Mountain, land art che dà forma al negativo della montagna circostante, oppure Aria compressa, alberi legati a una pietra con corde azzurre, sulla linea del vento, come se potessero spostarla. Con Fune, i piani di un edificio vengono ancorati e attraversati; l’architettura simbolicamente sublimata dal vapore che fa emergere su grandi fogli mappe architettoniche. In Spannung, personale a Viafarini nel 2013, l’architettura diventa invece epidermide organica dello spazio che ospita la mostra.

Parallelamente avviene un passaggio più radicale alla scultura, tra ispirazione naturale e manipolazione della materia. Alberto si colloca nel gruppo di artisti italiani che, nati attorno agli anni Ottanta, attraversano con straordinari risultati questo ambito quali Alessandro Roma, Antonio Fiorentino, Renato Leotta, Nicola Martini, Namsal Siedlecki, Luca Monterastelli. Vedo piante di ginco biloba che crescono fuori dallo studio. In una sua intervista, spiega: «concepisco il lavoro a partire da un seme che, piantato in terra, produce l’alimento che fa funzionare i nostri organismi. Seguire la crescita di un vegetale o immaginare il formarsi di un minerale dimostrano sia la rapidità del tempo che passa […] sia, al contrario, la lentezza del tempo […] mi fa pensare alla continua mutazione della materia e a quello che verrà».
I lavori UG nascono nel 2013, sculture/oggetto in serie fatte di materia compressa e stratificata, ottenuta da fusioni di sabbia, sassi, pigmenti, metalli, vetro. Qui le tensioni sviscerate dentro lo spazio e nelle installazioni collassano nei composti, mettendo in evidenza combinazioni che sembrano manifestarsi per ragioni interne agli elementi stessi. L’artista innesca la miccia, solidificando, impastando e quindi cristallizzando il tutto in un altro spazio-tempo. Nel 2015, la residenza presso la mitica Fondazione Battaglia, a Milano, che gli permette ulteriori sperimentazioni sulla fusione: dai minerali, ai metalli, al bronzo. Mi indica alcune scatole, materiali e opere in fieri. La sua immaginazione alimentata dall’energia operativa si confronta con i fenomeni naturali più antichi, ripercorrendo gli scontri di forze interne alla materia stessa. L’artista sembra quella talpa che affonda nella terra, scappa dal tempo, e crea architetture organiche/inorganiche in resina, bronzo, cemento: Ciupinara/Mole. Collettive, personali, residenze, occasioni per progetti site-specific, per non perdere quella sensibilità e relazione con gli spazi che incontra, come in Crossing Liegi del 2016 o Just for a Drop a L’escaut a Bruxelles del 2018, dove Alberto sovverte la meccanica del riscaldamento e quindi odori, rumori, superfici impreviste, agglomerati. Quindi la collaborazione con la Galleria di Bologna e il bellissimo progetto nel 2017, Eocene, che è già la sintesi di un percorso. Sculture potenti, come elementi emersi dopo un’apocalisse che paiono affiorare dalla tettonica delle placche, realizzate con materiali di origine minerale, intitolate come stagioni (ancora il tempo).

La serie più recente è SunFlower (2020), che ha ottenuto una rapida visibilità: una personale a Bologna, la presenza nella collezione del Museo Ettore Fico e la produzione con varianti in ottone e argento, ottone e oro, oppure con girasoli secchi, incollati e quindi dipinti. Forse il suo lavoro più rappresentativo, più denso, in questo percorso nella scultura, dove l’energia perduta del fiore morto è recuperata, restituita a una più complessa vita nel nostro immaginario.

Certo, a volte, nel processo vulcanico attivato sembra prevalere l’occasionalità, il tentativo, più che una coerenza di risultati, come in Bulbs ad esempio, lampadine fuse in sabbia e ossidi, o nella proposta concettuale di Spiga dorata, alchimia accennata più che compiuta.

L’importanza della ricerca di Scodro sta nel collocarsi tra le pratiche che interrogano le trasformazioni della materia organica e inorganica, il recupero, gli scarti, le polveri (come nel lavoro Caduceo), agitando la chimica degli atomi, nel tentativo di instillare scintille di trasformazione, un brillare simbolico, permanente e residuo, della luce della fusione. In questo sembra collocarsi in ciò che Bourriaud in Estetica del capitalocene, descrive come approccio molecolare alla pratica artistica per un salto nell’ecosistema oltre l’uomo; «energia rinnovabile» quindi, come afferma Alberto, per «produrre dei lavori universali, liberati dal tempo e dal condizionamento del presente».