Torre Santa Susanna (BR) 1978
Vive a lavora a Cassano delle Murge (BA)
Studio visit 2.0 di Nicolas Martino
23 luglio 2024

Nel precedente studio visit, tra gli aspetti salienti del lavoro di Francesco Arena, Lorenzo Madaro sottolineava «l’importanza concettuale delle dimensioni, uno sguardo sulla storia politica recente e una riflessione tangibile su un’idea specifica di scultura, che guarda al minimal e che viene intesa come linguaggio che interroga sé stesso». Un’ottima sintesi della pratica artistica di uno degli artisti italiani più significativi della sua generazione, che ha fatto della riflessione sulla scultura e sui materiali, e della ‘nostra’ storia più o meno recente, un elemento costante di riflessione.

Per ‘storia’, elemento comune anche ad altri artisti italiani nati tra gli anni Settanta e Ottanta, si intende qui sia quella della nostra penisola sia quella europea. In questo senso risultano particolarmente significative l’opera del 2004 3,24 m su Aldo Moro (la ricostruzione della cella dove il presidente della DC fu tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse nel 1978), e l’installazione realizzata nel 2023 presso la Fondazione Nicola Del Roscio Il fulmine governa ogni cosa, in cui l’artista ha ricostruito la leggendaria baita del filosofo Martin Heidegger, il mago di Messkirch, che dalla Foresta Nera ha involontariamente ‘svelato’ la radice ‘nazi’ della nostra civiltà. Se da un lato il ’78 segna il punto di svolta della storia Italiana, ovvero la sconfitta del rinnovamento di cui si era fatto portatore il lungo Sessantotto italiano (’68-’78) e l’inizio della lunga agonia “post-moderna” (passata anche attraverso la fine della Prima Repubblica e la nascita di una politica-spettacolo che ha rotto ogni rapporto virtuoso con la cultura), dall’altro non sorprende che la colonizzazione della cultura filosofica e artistica italiana da parte degli ‘incensi’ heideggeriani sia coincisa temporalmente con quella vicenda. Con queste due opere Arena è riuscito a raccontare sorprendentemente la svolta di questo paese e della sua vicenda storica, ovvero il suo inesorabile declino rispetto a una posizione di egemonia culturale che ormai è parte del XX secolo. Le Brigate Rosse da un lato e l’‘heideggerismo’ dall’altro, sembra dirci Arena, sono i due sentieri interrotti su cui bisogna continuare a riflettere per capire chi siamo, individualmente e collettivamente.

In tutto il lavoro di Arena, inoltre – e qui ci sembra opportuno citare anche 30 altalene, il progetto diffuso sul territorio di Polignano a Mare e appena inaugurato in occasione del Premio Pascali – risulta evidente come la riflessione intorno alla nostra condizione politica, culturale ed esistenziale non possa più essere relegata a un solo mezzo espressivo, ma debba necessariamente oltrepassare quella Galassia Gutenberg indagata da McLuhan e che ha segnato circa cinque secoli della nostra storia. Insomma, oggi risulta davvero difficile poter ‘pensare’ senza oltrepassare i confini della parola scritta, mentre è sempre più evidente che una tradizione di pensiero legatasi da Platone in poi alla scrittura si esprime ormai, e sempre di più, performativamente. I confini tra filosofia e arte si fanno sempre più labili, non però nel senso di una ‘sparizione’ della dimensione materiale e formale dell’opera a favore del concetto, ma nella direzione di una performatività che si fa alfabeto del mondo a venire. E qui sta una caratteristica particolarmente importante del lavoro di Arena in questo momento storico. È significativo anche il fatto che Arena riesca a sviluppare internazionalmente il suo lavoro abitando in quella che una volta si sarebbe chiamata ‘provincia’, a testimonianza del fatto che sono cambiati gli equilibri tra la dimensione locale e quella globale.

Proprio per questo, come abbiamo già notato recentemente, tutto questo lavoro, che formalmente si esprime attraverso un ripensamento dei moduli espressivi della Minimal Art e dell’Arte Povera – come nell’opera che sta preparando per una prossima manifestazione in Thailandia ‒, potrebbe raggiungere altri risultati particolarmente interessanti se si concentrasse su una genealogia culturale di quel territorio pugliese a cui la seconda metà del XX secolo deve almeno due giganti come Pino Pascali e Carmelo Bene.

D’altra parte la costante nitidezza ‘wittgensteiniana’ di un lavoro ormai più che ventennale costituisce un incontrovertibile punto di forza di tutta la ricerca di Arena.