Angelo Candiano

Modica 1962
Vive e lavora a Torino
Studio visit di Francesco Lucifora
22 luglio 2024

A un’idea ortodossa di studio riferito ad Angelo Candiano preferisco una realtà più poetica. La Sicilia è il posto in cui è nato, radici alle quali è legato saldamente nella forma di territorio, terra arida e nera, pietra calcarea e biancastra. Dunque il primo spazio importante a cui penso si trova a Modica: è una piccola casa, quella dei nonni, che resiste attorniata da grandi edifici come Davide di fronte a Golia. Candiano non ha modificato nulla e tra queste mura il lavoro si nutre di tempo e sedimenti. A Torino, dove vive e lavora, un grande locale diventa nuovo spazio di lavoro; è ancora vuoto mentre parliamo e apprendo che non ha mai avuto un classico studio d’artista, e che le esigenze lo hanno portato a predisporre diversi angoli in casa per realizzare i lavori.

Individuo in lui tre posture rilevanti: la consapevolezza della fotografia come unico strumento in grado di “leggere” la luce, la filosofia come enorme fonte di linguaggio e concetti e poi la scoperta del computer e di certe sue dinamiche. A metà degli anni Ottanta vince il primo premio di un concorso internazionale, indetto da IBM/Seltering a Palazzo Grassi, sull’uso dei computer all’interno degli spazi museali. Dal 1984 si occupa di teoria della fotografia e di ricerca, sulla luce e con la luce, attraverso la lingua e i materiali della fotografia e dell’arte, con felici incursioni nella filosofia. Nel 1984 l’artista elabora il sistema complesso della fotosofia; il suo percorso è segnato dalla prima antologica al MLAC-Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università La Sapienza di Roma, l’apparizione al Centre Pompidou e una costante attività espositiva dal 1985 al 2017 alla quale ha affiancato, dal 1993, la cattedra curriculare di Storia della fotografia presso lo I.E.D. di Torino.

Il lavoro di Angelo Candiano assorbe ogni elemento che caratterizza l’arte e l’esistenza; i progetti si nutrono, con varia intensità, di luce, buio, spazio e tempo. I dispositivi sono opere e continuano a generare o ‘figliare’ altri lavori in un movimento perpetuo dove la luce governa tutto. Per un trentennio, l’artista ha selezionato e difeso i punti forti di una poetica in una sorta di sospensione e autoanalisi, dalla quale ha effettuato un prelievo profondo di riferimenti che sono diventati poi i paradigmi del suo lavoro. Uno tra questi è il concetto di Situazione, da cui proviene una tecnica di filiazione ‘logica’ dei lavori. Candiano rifiuta un approccio random, molto diffuso nell’ambito del contemporaneo, istintivo, di pancia o bohémien, intriso di déjà-vu. A questo preferisce una programmazione rigorosa presieduta dalla luce come soggetto e oggetto allo stesso tempo. Il suo linguaggio porta in un territorio dove la fotografia viene privata di ridondanze ormai inutili e procede verso la sua estinzione estetica mediante la presenza fenomenologica dei materiali tipicamente fotografici, ottici e proiettivi.

Ho difficoltà a parlare del dibattito culturale nazionale, perché l’artista che ho di fronte afferma che nessun dibattito sta avendo luogo da anni. Il suo lavoro resiste dentro una saturazione dell’orizzonte culturale e visivo al quale si oppone con una visione più programmatica.

Angelo Candiano sta lavorando a diverse opere simultaneamente perché predilige i progetti lunghi, si tratta dell’ennesima verifica del sistema, della sua macchina, processo che rappresenta l’oscillazione tra dubbio e certezza senza considerare i punti di debolezza esterni dettati dal sistema dell’arte. Al contempo, è in preparazione una nuova monografia, una Situazione di nuova generazione e un progetto installativo per un’istituzione museale italiana. Come una macchina, una volta approntati una serie di materiali, la luce farà il resto anche quando l’artista non ci sarà: funzionerà sempre.

Foto di Alessandro Albert