Luca Grechi

Grosseto 1985
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Nicolas Martino
5 luglio 2024

Dopo aver vissuto a Parigi per alcuni anni, Luca Grechi si è trasferito a Roma per frequentare l’Accademia di Belle Arti, dove si è diplomato in Pittura sotto la guida di Enzo Orti. Oggi lavora soprattutto con la galleria Richter di Roma e con Labs di Bologna, anche se la sua ultima importante personale, dal titolo Manca sempre quello che sarà, si è tenuta da febbraio ad aprile alla Nuova Pesa. Da qualche mese ha un nuovo studio nello storico quartiere del Quadraro, dopo aver condiviso per dieci anni l’esperienza e gli spazi di Paese Fortuna all’ex Lanificio.

Grechi non ‘usa’ il mezzo pittorico al fine di esprimersi, come fanno altri artisti, ma piuttosto aderisce a una forma di pittura che comprende il mondo attraverso di essa. Potremmo anche dire che non è un artista che ha scelto la pittura, ma che è stato ‘scelto’ dalla pittura, un po’ come quando si dice, in filosofia, che non parliamo una lingua ma che siamo parlati dalla lingua. La pittura è, in sintesi, l’orizzonte di senso dentro il quale quella singolarità che si chiama Luca Grechi riesce a essere e a esserci. Non siamo quindi di fronte a un artista che ha seguito la corrente di questi ultimi anni, quella di un nuovo ritorno alla pittura che ripete ciclicamente ciò che è già successo nei primi anni Ottanta e poi nei Novanta, ma parliamo di qualcuno che si è mosso in controtendenza per una necessità costitutiva del suo stare al mondo. Prendendo in considerazione la provincia dove è nato e cresciuto, mi viene da pensare che così come il suo illustre concittadino Luciano Bianciardi apparteneva alla scrittura, tanto da aver scritto fino all’ultimo giorno della sua vita, così Grechi appartiene alla pittura. Una pittura silenziosa, eseguita a memoria, con colori tenui e atmosfere rarefatte, che consiste di tele dipinte con tecniche miste dove appaiono, quasi come miraggi o reperti archeologici dell’inconscio, paesaggi, figure e oggetti appena accennati.

Al momento in studio sono presenti soprattutto lavori nuovi – in vista di una prossima personale alla galleria Richter prevista per il 2025 – e che segnano una trasformazione rispetto alla produzione precedente, più conosciuta. Una maturazione, potremmo dire così, che consiste in una maggiore essenzialità all’interno di un percorso nel quale la pittura è la poesia delle piccole cose, e quindi migliora la sua qualità quanto più si rende ‘semplice’, lasciando al di fuori tutto ciò che man mano risulta superfluo. Forse il bravo pittore, alla fine, è quello di un solo colore, così come il bravo filosofo è quello di un solo concetto, e per raggiungere questo risultato bisogna lavorare ogni giorno sulla linea del rigore. In questo senso possiamo dire che siamo di fronte a una pittura ‘politica’, non perché parla di questioni sociali, anzi la sua è una pittura intima e personale, ma per la frontiera sulla quale l’artista ha deciso di ‘lavorare la pittura’, provando a portarla oltre i suoi limiti. Qui sta, a mio parere, l’importanza di un lavoro come questo nel panorama artistico contemporaneo, oltre che nel tentativo di ripensare la pittura dopo il modernismo ripartendo da quel ‘tradimento’ iniziale operato dagli artisti della seconda metà del XIX secolo. Ripartire da Monet, insomma, per ritrovare la concretezza di una poesia che la potenza di astrazione della modernità stessa ha dissolto nell’aria. Non è tradizione né ritorno all’ordine quello di Luca Grechi, ma piuttosto resistenza del rigore come unica salvezza e, contemporaneamente, tentativo di forzare i limiti del linguaggio pittorico stesso.

Come già altre volte abbiamo notato in queste pagine, anche nel caso di Grechi il punto “critico” consiste soprattutto nella scelta (o non scelta) di affidarsi esclusivamente o quasi esclusivamente alla pittura in un momento in cui i mezzi espressivi e il concetto stesso di arte si stanno trasformando radicalmente. Questo lavoro quotidiano dovrà continuare a svilupparsi con la stessa tenacia di cui l’artista, ancora giovane, ha dato prova fino ad ora, rimanendo coerente con questa linea e sapendo giustificare artisticamente ogni possibile ed eventuale deviazione.

Se il tempo sarà testimone, d’altra parte non si può che apprezzare il coraggio di una pratica artistica che fa della relazione con la pittura una relazione d’amore, ovvero l’espressione di un desiderio per il segno e il colore come unica voce per ‘dire silenziosamente’ il mondo.

Foto di Vanessa Caredda
Foto di Vanessa Caredda