Antonio Zappone

Taurianova (RC) 1980
Vive e lavora a Reggio Calabria
Studio visit di Marcello Francolini
19 giugno 2024

“Quandu ‘u povaru ‘nci duna o’ riccu, ‘u diavulu di ‘ndarridi” (San Martino di Taurianova). Quando il povero dona al ricco, il diavolo ne ride. Qui, la risata del diavolo, scaturisce dalla visione di un mondo sovvertito, di una società stravolta, in cui il povero è saccheggiato dal ricco, in cui i contrasti evidenti stridono, tra i busti bronzei e le colonne ioniche, depositari di una saggezza che impregna la sagacia popolare di un’intera piana: la piana di Gioia Tauro, dove, nell’entroterra, una vasta zona olearia conduce fino a Taurianova. Qui, tra le resistenze e le partenze, vi è uno studio d’artista nato tra le macerie del primo mondo industriale, sorto nel libero Regno delle Due Sicilie. Tra carte antiche e stampanti laser, tra resine, oli e IA, vi è la fervida ricerca dell’artista Antonio Zappone, intento a sollecitare i contrasti che qui sorgono nitidi, come le albe viste dall’Aspromonte. Qui si dovrebbe aprire una chiosa, e dire che parleremo del nuovo Zappone post-pandemico, rientrato dopo il fortunato esilio pescarese. Lui che aveva partecipato all’ultimo Fuori Uso di Cesare Manzo, con la realizzazione dell’immagine di copertina del Catalogo, passando dal mondo della grafica pubblicitaria, per rientrare fra i miti greci di Taurianova e iscriversi come a nuova vita all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, per frequentare più rasente la pittura. Sembra, a guardare il suo percorso, di star vedendo la sua ricerca transitare lievemente, dallo spirito della stampa della serie di lavori Ex Collage (2016-2018) alla materia pittorica della serie recente di SamoSoma (2022-2024).

L’artista fa, a partire da ciò che questo territorio è, da sempre, ‘stratigrafie’ storiche e ‘concorrenze’ naturali. Zappone letteralmente terremota le proprie idee, squassandone le superficie affinché ne emerga l’impeto dalle viscere, al di sotto del segno; resta solo il passaggio del gesto, che è poi il pensiero scarnificato sino all’impulso primordiale. Pensavo questo, dinnanzi alla serie di lavori Panchormium (2018-2020), che già ante litteram si ponevano come incesto tra pittura concreta e digitale, medesimo cortocircuito che fa la scultura con la fotografia, quando si uniscono nell’amplesso del collage. Qui, le sculture vere e proprie rifiltrano nella bidimensionalità della tela, spolpate dall’occhio fotografico che le rigetta in cocci di semi-forme, al pari dei resti di storia, raccolti e riesposti, in questa enorme distesa archeologica che è la Calabria.

Questa reticenza ai modelli imposti, credo sia la maggior forza della ricerca di Zappone, che lo conduce al latere di ogni novità, come se denaturasse ogni tecnica, producendo di contraltare nuovi usi, secondo un agire politico che si sottrae a tutte le buone pratiche promulgate dal benemerito mondo dell’arte. Chiamato nel 2018 per il progetto Bocs Art, realizza il lavoro AUMMA AUMMA. Misurandosi con l’ambiente crea un paesaggio performativo, tramite l’uso di pochi elementi: Due mani poste sulla rampa di scale riorganizzano la percezione dello spazio – lo spettatore sta guardando qualcuno da una gabbia? O è guardato da qualcuno, mentre vi è dentro? Sul lato, a parete, una ‘fotografia non-fotografia’, nel senso di oggetto a metà tra documento ed elaborazione digitale. Un monumento di piazza, una tipica statua su basamento, come tante altre in altrettanti paesini d’Italia. Ma questa statua sembra disciogliersi, dunque la sua memoria è compromessa, quella storica, ma anche sociale, a cui rimanda il terzo elemento, l’elmetto da lavoro, dove una bandiera italiana è sommersa da macerie di calcestruzzo.

Il progetto recente, che porta avanti nell’ultimo biennio, è SamoSoma. Immagini prodotte dall’interazione tra fotografia analogica e IA, attraverso la creazione di prompt: un codice, una porzione di testo tecnico-descrittivo. Il lavoro documentativo è intorno al paese di Samo, in Aspromonte, dove Antonio Zappone ripercorre i passi di Pitagora, che su questi panorami avrà costruito il suo ‘catechismopitagorico’, e la regola delle tre domande che ogni seguace doveva porsi al tramonto ogni dì: Che cosa ho fatto di male? Che cosa ho fatto di bene? Che cosa ho omesso di fare? Gli interventi scritturali introducono, nelle foto, personaggi completamente coperti da veli, colti in un rito che però sbiadisce perdendosi nella stratigrafia delle civiltà del mediterraneo.

Tra le sue vite ante e post covid l’artista dovrà sicuramente saldare la narrazione del suo lavoro con la costruzione di un proprio archivio, lavorare sulla sua memoria per renderla accessibile a qualsiasi indagine storico-critica.

Ma da buon Capricorno, Zappone assicura un prossimo corso da AitArt. D’altronde ci sono i meticolosi e le meteore; quest’ultime, pur largheggiando nel loro moto ellittico, sempre ricongiungono al punto.