Una istituzione critica per l’arte. In dialogo con il direttore artistico della Quadriennale di Roma

Nicolas Ballario: Pare che tra l’essere e il non essere, l’Italia come Paese preferisca essere stato. Siamo arroccati o miopi?

Gian Maria Tosatti: L’Italia è un Paese che ha lentamente lasciato andare il proprio controllo sullo Stato. La stessa esistenza di una classe politica, buona o cattiva che sia, contraddice l’idea che la gestione dello Stato attenga al concetto di ‘servizio’. In mano a pochi, la politica finisce per essere un esercizio di potere. Ma la responsabilità – come la sovranità – è sempre del popolo e del suo credere, talvolta, che l’esercizio della democrazia si limiti all’espressione di un voto ogni cinque anni. Va detto che senza partecipazione un Paese non è più uno Stato. Diventa, semplicemente, un territorio, su cui non risiedono cittadini, ma abitanti.

NB: Manca un esercizio costante del ‘dovere’ civico?

GMT: Beh, la democrazia chiede esercizio quotidiano. È ovvio. Cosa succederebbe se ci presentassimo in uno stadio una volta ogni cinque anni per giocare la nostra partita senza aver mai fatto un allenamento? Ci sarebbe da ridere.

NB: Pare proprio che la tua Direzione in Quadriennale si sia sviluppata da una constatazione di questo tipo.

GMT: Personalmente, non credo che si possa produrre una mostra ogni quattro anni senza dover dimostrare come essa sia il frutto di un processo capillare, che si è svolto scientificamente per tutti i 1440 giorni che hanno preceduto quello statement. Ecco, sotto la mia Direzione artistica e sotto la Presidenza che mi ha dato fiducia, la Quadriennale ha iniziato a cambiare per aumentare la sua credibilità. Non abbiamo fatto nessuna rivoluzione. Abbiamo solo sviluppato gli strumenti che ci venivano assegnati dal nostro statuto. E, mi pare, che questo abbia comportato delle conseguenze su tutto il sistema.  

NB: In che modo tutto questo ha un valore critico?

GMT: In realtà è molto semplice, abbiamo istituito un metodo di lavoro. Ogni giorno dell’anno, uno dei nostri curatori sparsi nelle varie regioni italiane va a visitare un artista e compila una scheda critica sul suo lavoro che viene pubblicata sul nostro sito. Se da questa scheda risultano emergere elementi di particolare interesse, l’artista che ne è oggetto viene segnalato ai curatori degli altri territori in modo che uno di loro lo possa visitare, di nuovo, a distanza di alcuni mesi, e proporci, su una scheda critica diversa, uno sguardo incrociato. Se questa ulteriore verifica conferma la qualità di quanto osservato, l’artista viene veicolato alle altre sette aree progettuali attive nella nostra istituzione, i cui responsabili capiranno in che modo debba essere valorizzato.

NB: Rimaniamo sull’aspetto critico: spiegami iter, passaggi, modalità di questa valorizzazione.

GMT: Ogni passaggio comporta una selezione che mette un terzo o un quarto critico nella prospettiva di studiare il lavoro degli artisti per poi trattarne nelle proprie elaborazioni. Oltre all’area progettuale dedicata alla costruzione del Panorama dell’arte italiana, infatti, ne abbiamo una dedicata all’editoria, che lavora a con diversi strumenti. I «Quaderni d’arte italiana» sono uno di questi, e rappresentano la possibilità di contestualizzare la pratica degli artisti più interessanti in orizzonti e narrazioni più ampie, sia relative all’arte italiana che a quella internazionale. Ci sono poi altre pubblicazioni, ancor più scientifiche, che sono il risultato delle borse di ricerca commissionate mediante un’altra area progettuale dell’istituzione, che è quella dedicata al mondo dell’università. Quest’area, coordinata da Raffaella Perna, ha visto assegnare ogni anno una borsa di ricerca postdottorato, dedicata alla costruzione di linee interpretative sull’arte italiana del XXI secolo. Ogni anno, un ricercatore viene stipendiato per dodici mesi al fine di produrre una pubblicazione che la Quadriennale realizza e distribuisce. Ma il lavoro di quest’area produce anche una serie di seminari interuniversitari che hanno l’obiettivo di mettere in connessione i dottorandi e aiutarli a lavorare in team, condividendo bibliografie e risultati di ricerche che possano incrociarsi. Questo ci consente di creare una conoscenza diffusa e condivisa sul lavoro dei giovani ricercatori italiani e di far conoscere loro i nostri risultati.

NB: E questo va nella direzione di colmare un gap tra il mondo accademico e quello critico. È un’occasione di scambio?

GMT: Certo. Per parte nostra, onoriamo lo scambio pubblicando le migliori tesi di dottorato prodotte in Italia, anno dopo anno, sugli argomenti che attengono alla nostra missione. Questo, da una parte fa uscire le ricerche accademiche dal loro mondo un po’ chiuso, rendendole popolari, e dall’altra incentiva anche le università a rivolgere maggiore attenzione all’arte italiana contemporanea. La nostra area dedicata all’arte digitale, coordinata da Valentino Catricalà, ha inoltre istituito una borsa di ricerca postdottorale per indagare gli sviluppi delle tecnologie applicate alle arti, e ha anche realizzato una serie di residenze in collaborazione con il Dipartimento di Arte Digitale alla Manchester Metropolitan University. Ciò ha consentito a giovani artisti italiani di sviluppare le proprie ricerche con strumenti altamente avanzati. Gli artisti scelti provengono sempre dal nostro percorso di indagine sui territori ma passano attraverso ulteriori commissioni di selezione. E questo è un altro dei modi per valorizzarne il lavoro.

NB: Hai creato un fitto programma di mostre, ma il compito della Quadriennale è quello di fare ricerca. L’istituzione si sta trasformando in un museo?

GMT: No. Il nostro fitto programma di mostre, in realtà, nasce ancora da progetti di ricerca che hanno come atterraggio principale lo sviluppo di saggi critici. Le mostre che realizziamo, in realtà, rappresentano tecnicamente delle ‘illustrazioni’ di tali processi d’indagine.

NB: Avete due tipi di programma, giusto?

GMT: Sì. Il primo è il progetto Portfolio che è il tipico terzo anello di quella catena di osservazioni sull’arte italiana che comincia col grande monitoraggio. Gli artisti segnalati dai vari critici sul territorio, infatti, arrivano sul tavolo di Gaia Bobò, la curatrice che si occupa specificamente del lavoro sui giovani. A lei tocca studiare a fondo l’intera parabola di lavoro degli artisti under 35 che abbiamo identificato come ‘interessanti’ e capire se la loro ricerca ha una prospettiva solida al di là dei buoni risultati attuali. Se questo esame passa, viene realizzato dalla curatrice un portfolio critico – potenzialmente condivisibile anche con altre istituzioni – che affronta l’intera produzione dell’artista, il quale viene invitato a portare nelle nostre sale espositive un lavoro rappresentativo. Teniamo molto a questo progetto, perché ci consente di presentare e valorizzare criticamente artisti in un’età in cui tutti i loro colleghi stranieri emergono. Ciò aiuta a rendere di nuovo competitiva la nostra scena sul piano internazionale, dopo generazioni a cui sono state offerte le prime mostre museali soltanto in età avanzata, quando gli artisti sarebbero già dovuti essere considerati maestri conclamati.

Il secondo programma di mostre, invece, coinvolge curatori italiani o stranieri (spesso direttori o curatori di istituzioni internazionali) nella scrittura di saggi di un certo peso relativi alle traiettorie più interessanti nell’arte italiana del XXI secolo. Nel caso degli stranieri – che sono il 50% ogni anno – tutto nasce da residenze realizzate in collaborazione con gli istituti di cultura del loro Paese di provenienza. Questo metodo ci consente di ospitare, qui in Italia, i curatori per un periodo sufficiente a studiare con attenzione la nostra arte contemporanea, sia attraverso documenti sia attraverso l’incontro con altri curatori e artisti. Alla fine, dai loro testi realizziamo una mostra che diventa un modo per ‘spazializzare’ un ragionamento solidamente ancorato sulla carta.

Si dispiega quindi un’ulteriore possibilità di valorizzazione degli artisti analizzati nel monitoraggio. Se, infatti, un curatore invitato a sviluppare una contestualizzazione critica decide di includerne uno o più di uno nel suo testo/mostra, ciò esprime una nuova verifica sulla qualità del loro lavoro.

NB: Si applica il metodo scientifico alle scienze umane?

GMT: Beh, non è poi molto diverso dalla sperimentazione di un farmaco, dai primi passaggi nei laboratori in poi. Ma ci sono anche altri strumenti legati a ulteriori aree progettuali.

NB: Quali?

GMT: Per esempio la promozione internazionale. Ragionare criticamente sugli artisti, infatti, ci aiuta a farli emergere dando loro credibilità anche agli occhi delle istituzioni straniere. Sono nate da questa attitudine le diverse mostre per le quali altri musei o biennali internazionali hanno chiesto alla Quadriennale un contributo scientifico ed economico. Ma in quest’area rientra anche il grande lavoro che, da due anni, stiamo facendo con il Ministero degli Affari Esteri, che ha l’obiettivo di porre in una prospettiva organica le risorse di quest’ultimo, così come le nostre, per valorizzare l’arte italiana. I molti istituti di cultura sparsi per il mondo oggi vedono nella Quadriennale un organo critico in grado di coadiuvare la scelta di artisti che ha senso aiutare e promuovere attraverso i loro canali di diplomazia culturale, o invitare in residenza presso le loro sedi. D’altra parte, la valorizzazione degli artisti passa anche attraverso altre aree progettuali della Quadriennale, come quella dedicata alla formazione del pubblico e dei collezionisti o quella che si occupa dei progetti speciali, come il festival che realizziamo.

NB: Forse oggi manca davvero un pensiero critico perché mancano gli spazi. I giornali non vendono più e l’editoria di settore è un microbo paragonata a quella di altri Paesi. E, su questo, è difficile tornare indietro. C’è un altro modello?

GMT: Il mondo non è mai stato fermo su sé stesso. I modelli sono sempre cambiati per adattarsi ai tempi e alle trasformazioni della società. Abbiamo attraversato, in questa generazione, la più grande rivoluzione antropologica e neurologica dall’invenzione della stampa. L’introduzione, nelle nostre vite, dei dispositivi mobili e di Internet, ha portato il nostro cervello a funzionare diversamente. È poco credibile pensare che si possano continuare a utilizzare gli stessi strumenti critici di un tempo. I modelli vanno aggiornati pur conservando lo spirito critico, altrimenti si scivola in quel tipo di informazione che riempie oggi l’editoria di settore e che non è diversa dalla pubblicità.

Quando realizzavamo il primo annuario dell’arte italiana – un’altra delle iniziative della Quadriennale volte al monitoraggio dell’esistente e alla sua problematizzazione – ci siamo resi conto che, in Italia, in dodici mesi, si producono circa cinquecento articoli di critica e che solo nel suo primo anno di attività, con i testi pubblicati giorno dopo giorno, la Quadriennale era arrivata a valere circa il 50% dell’intera produzione critica del Paese. Questo non è un dato lusinghiero per la nostra istituzione, ma un dato allarmante per l’editoria italiana e per l’intero sistema di analisi e valutazione dei processi artistici contemporanei.

NB: Beh, è difficile campare d’arte in Italia e poca gente ci riesce. È ovvio che nessuno abbia voglia di pestare i piedi a qualcun altro.

GMT: E così finirà per non campare più nessuno. L’ho scritto, recentemente, in un articolo su «Il Sole24 Ore». Qualsiasi comparto industriale non può sopravvivere senza la fiducia degli investitori. Se il sistema dell’arte non si disciplina in modo da essere credibile nell’espressione dei suoi valori, diventerà non affidabile e il gioco sarà finito. Le economie che lo sorreggono andranno altrove e noi tutti a casa. Come nella crisi dei mutui subprime negli USA. Moriremo di stenti.

NB: Chi decide chi sopravviverà?

GMT: Ci penserà la Storia a posteriori. Farà seccare tutte le erbacce lasciando vivi solo gli alberi d’alto fusto. Quindi, tanto vale provare a tenere il giardino pulito da subito e goderselo vivendoci. Il che non significa certo farsi la guerra per la sopravvivenza, ma disporsi tutti verso un atteggiamento critico costruttivo che possa rafforzare coloro che hanno qualcosa di vero da portare.

NB: Si può parlare di industria culturale? 

GMT: In un sistema capitalistico – come quello attuale – non si può che parlare di industria, soprattutto in contesti che prevedono la presenza di un mercato. E le arti un mercato lo hanno. Vale per il cinema, il teatro, la letteratura, le arti visive. Negarlo, anche sdegnosamente, non ci rende puri, ci rende disadattati e vulnerabili. Il cinema italiano era grande nel mondo fintanto che funzionava come industria. E, in questo modo, riusciva anche a essere democratico. Adesso ci sono sette, otto famiglie che ci lavorano e si scambiano i ruoli. Il figlio fa il regista, il padre il produttore, la fidanzata l’attrice. Eravamo la Olivetti e ora siamo la salumeria dietro l’angolo, a conduzione familiare. Quel che raccogliamo mi sembra proporzionato allo sforzo. Con le arti visive non è diverso. Anche il confronto tra gli artisti in questo momento è praticamente inesistente. Ognuno il suo piccolo clan, i suoi curatori amici, i suoi collezionisti parenti o affini. E come si cresce? Come può crescere un sistema che non si confronta, che non si fa industria, che confonde i ruoli con le (pseudo) parentele? Nella Silicon Valley sono tutti concorrenti. Ma le innovazioni di uno servono all’altro per sviluppare un nuovo software o una nuova tecnologia. L’industria si regge sulla forza di tutti. Credo che abbiamo ancora molto da imparare.

NB: Questi ‘tutti’ di cui parli però oggi vivono l’ambiente in maniera frammentaria. Se è vero che l’unione fa la forza, siamo ancora molto lontani dal raggiungimento di una maturità in questo senso. Con il lavoro della Quadriennale stai cercando di rimettere insieme i cocci del panorama italiano o vuoi far vedere che c’è una struttura viva e attiva e basta cercarla?

GMT: Semplicemente sto dedicando tre anni della mia vita a quello che ritengo un servizio civile, un dovere democratico. L’Italia aveva bisogno di una struttura che fosse, realmente, un ente di ricerca sull’arte di questo Paese. Allo stesso modo ha bisogno di altre cose che esistono sulla carta e non nei fatti. La Quadriennale da due anni ha istituito un metodo scientifico e gli ha costruito attorno una serie di attività. In questo modo si rende credibile di fronte ai cittadini che sono i suoi azionisti. Questo giova a chi non sa nulla di arte e teme di avvicinarvisi, come agli altri attori del sistema che possono trovare in noi un sistema di verifica.

NB: Chi ha in mano il cerino dell’identificazione degli artisti?

GMT: In parte noi e in parte il sistema dei musei. Che – sarà il caso di ricordarlo una volta di più – si basa sulle collezioni e non sulle mostre. I musei, acquisendo, identificano criticamente il contributo che un artista ha dato al proprio tempo. Il punto è che, però, anche questo piccolo comparto non funziona come dovrebbe. Nella prima edizione del nostro festival, Quorum, ho moderato una tavola rotonda dedicata ai musei con l’obiettivo di fare chiarezza sull’organicità del sistema. C’era il direttore di un museo comunale il quale avrebbe il dovere di esporre e far conoscere gli artisti – prevalentemente giovani – del proprio territorio. C’era il presidente di un museo regionale che avrebbe le risorse per costruire una collezione prevalentemente composta dagli artisti della propria area. C’era il direttore di uno dei poli museali regionali che fanno capo al Ministero della Cultura, che avrebbe la possibilità di raccogliere quanto emerso sui diversi territori e, attraverso Roma, veicolarli in altri poli, per far viaggiare gli artisti meritevoli e le loro opere tra le varie regioni. E poi, c’era il presidente di un museo nazionale che ha il compito di prendere tutto il meglio che emerge dai diversi territori per acquisirlo ed esporlo all’attenzione internazionale. Sulla carta funziona tutto benissimo. Il problema è che raramente chi dirige un’istituzione ama piegarsi a logiche di organicità che ne limitino la potestas. Il risultato è che abbiamo una cinquantina di strutture che sono l’una il doppione dell’altra e un sistema di riconoscimento paralizzato.

NB: Cosa è successo nella scena artistica negli ultimi venti anni? Esiste una storia dell’arte dei primi anni del millennio?

GMT: Sono successe molte cose nell’arte italiana di questo primo quarto del XXI secolo. Pochi, invece, sono stati i tentativi di darne una lettura generale, una visione di contesto. I «Quaderni d’arte italiana» hanno provato a colmare questo vuoto in modo delicato. Con la partecipazione di un team di circa quaranta firme di altissimo livello, il cui grande merito è stato quello di lavorare assieme per due anni e mezzo, con continuità, questa collana di libri che noi chiamiamo ‘rivista’, ha razionalizzato alcuni argomenti centrali per l’arte di questi anni e li ha sviluppati legandoli alle espressioni che sono emerse dalla scena culturale.

NB: Un bacino di connessioni che ora facilmente si presta alla lettura critica di chi voglia tirare le somme. Voi l’avete fatto?

GMT: Non ancora. Verrà il momento. Per ora, abbiamo fornito su un vassoio d’argento al critico di oggi o allo storico di domani una serie di fonti di qualità prima mancante. Inoltre, il metodo usato per svilupparle e il processo partecipato da parte di importanti professionisti del settore appartenenti a differenti percorsi e generazioni, dà all’operazione un alto livello di credibilità.

NB: Questo tuo monitoraggio farà la differenza? Senti che potrà continuare anche dopo la tua direzione alla Quadriennale e tu stesso, lo continuerai altrove?

GMT: Il monitoraggio che stiamo conducendo è un dovere tecnico per questa istituzione. Non farlo significherebbe non avere basi scientifiche su cui sviluppare il proprio lavoro. Quindi mi auguro che chi mi succederà avrà l’intelligenza di non smontare tutto quello che abbiamo costruito fino a oggi. L’autorevolezza di un’istituzione, infatti, non deriva né dal proprio nome né dalla propria storia, ma dal livello di funzionalità ed efficienza che è in grado di garantire nel presente. Oggi la Quadriennale è il cervello del sistema. Controlla ogni minima evoluzione nella scena artistica italiana, ha messo ordine nella storia dell’arte degli ultimi venticinque anni e ha costruito una rete di fiducia internazionale che ci porta, per la prima volta, a non dover andare a bussare alle porte dei musei internazionali per proporre i nostri artisti, ma a rispondere alle loro chiamate come interlocutori capaci di portare consiglio e sostegno. È una significativa inversione di tendenza possibile perché abbiamo costruito una credibilità da offrire. Ed essa è figlia del metodo che abbiamo istituito e che ci ha fatto essere, per davvero, un servizio pubblico consentendoci un posizionamento importante dell’istituzione a livello internazionale.

NB: C’è un problema grosso come una casa: il pubblico dell’arte contemporanea non esiste. E il pubblico, anche se può sembrare di no, è ciò che semina i campi della critica.

GMT: Senza il pubblico non ha senso far nulla. È come cantare in un teatro vuoto. Ma non è un problema di oggi. La generazione che ci ha preceduto ha voluto un sistema dell’arte che fosse esclusivo. Ci siamo ritrovati con un sistema dell’arte escluso. Ora c’è solo da riguadagnare la fiducia che abbiamo perso. Le persone, oggi, non sanno più a cosa serva l’arte. Chi sguazza tra le nostre secche parla spesso di soldi, di aste, di investimenti. Sembra quasi che le opere siano un prodotto finanziario. E ovviamente ai cittadini i prodotti finanziari interessano poco, in generale. In primo luogo, va diviso il dibattito culturale dalle opere. L’arte produce principalmente dibattito e oggi, per i cittadini è centrale parteciparvi, perché esso è l’unica finestra aperta sul presente e sul futuro, su una visione filosofica del sé e della propria comunità in un tempo in cui la politica ha perduto ogni portato ideale e si limita a fare, meglio o peggio, l’ordinaria amministrazione dello Stato.

NB: La massima ambizione per un sistema dell’arte critico, aperto al confronto, maturo, quale può essere? Potrà davvero orientare il pubblico?

GMT: Il sistema dell’arte non deve avere ambizioni. È nato ai tempi della Grecia antica con un solo obiettivo: mettere i cittadini di fronte a uno specchio, perché potessero comprendere meglio sé stessi e determinare, così, il proprio destino. Questa è l’arte. E questa missione tutti noi, coinvolti a vario titolo, artisti, critici, produttori, mecenati, continuiamo a perpetuare.

NB: E qual è il dovere delle istituzioni culturali?

GMT: Farci trovare sempre dove i cittadini vengono a cercarci. E perché sia possibile, un’istituzione – sia essa la Quadriennale o un qualsiasi museo – deve rendere sempre più visibili e accessibili questi punti di contatto, perché nessun cittadino resti solo nel pensarsi al presente, in questo Stato, in questo mondo.