Guglielmo Maggini

Roma 1992
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Davide Lunerti
8 maggio 2024

Guglielmo Maggini si è formato a Londra, dove ha conseguito il master in Designer Maker alla Camberwell College of Arts, e a New York, dove ha lavorato come assistente di Gaetano Pesce. È tornato a stabilirsi a Roma nel 2020, anno in cui si è unito all’allora nascente Post Ex; da pochi mesi ha uno studio tutto suo nel quartiere Prati, nel quale mi accoglie per lo studio visit.

La prima cosa che si nota entrando nel nuovo studio è la fecondità della sua produzione. I colori acidi e le forme liquide invadono lo spazio, in sculture e installazioni tentacolari, in plastica e in ceramica, che proliferano ed esondano dai loro stessi confini. Il principio creativo delle opere di Maggini si manifesta proprio in questa esuberanza della materia, da un impulso vitale che alimenta e pervade i materiali fino a farli esplodere, come per sovrabbondanza. Per comprendere facilmente la pratica dell’artista può essere d’aiuto un suo progetto di qualche anno fa: Falling from 0 to 10 (2018), una serie di dieci sculture derivate dallo stesso stampo ovale, che raffigurano un uovo in ceramica fatto cadere, a uno stato della materia ancora malleabile, da diverse altezze via via più elevate. Questa trasfigurazione progressiva della forma, che porta al suo disfacimento, scioglimento e collasso, ha costituito la base della ricerca estetica dell’artista. Le sue opere assumono conformazioni astratte a seguito di manipolazioni sempre più elaborate e deformanti, attraverso una conoscenza del materiale sviluppata in continue sperimentazioni. Nella maggior parte dei casi, le sembianze ottenute possono ricordare estremità contorte di piante infestanti, dai colori squisiti e dai volumi gonfi, come frutti fragranti di un perturbante giardino delle delizie, che si sfaldano e liquefanno, troppo maturi. Splendenti e cangianti come caramelle, invitano lo spettatore a coglierli e assaggiarli, incoraggiando al contatto e all’esperienza sensoriale di un materiale solo all’apparenza fragile, quale la ceramica.

Oltre a un uso pienamente consapevole e personale del materiale, nella pratica di Maggini è affascinante la natura del processo creativo: le opere traggono sempre ispirazione da immaginari ricorrenti nella vita dell’artista, o da iconografie e figure che affiorano dal suo inconscio. Il mondo interiore delle pulsioni psichiche è infatti il crogiuolo di suggestioni dal quale l’artista attinge, immergendo le mani nella propria mente come argilla cruda, per impastare e portare in superficie le manifestazioni preverbali del suo desiderio. La forma determinata, al termine del processo di cottura, non è infatti che il congelamento di quel flusso magmatico continuo e discordante, ribollente di sensazioni e sovrimpressioni, dei tumulti del suo inconscio, catturato in un istante del suo svolgersi. Ogni opera al suo compimento mantiene impresse su di sé i segni della colluttazione tra forze psichiche opposte, registrati nella dialettica tra elementi oppositivi: ceramica contro plastica, forme oblunghe e accoglienti miste a protuberanze penetrative, in colori complementari; e ancora solido e molle, concavo e convesso, moti discendenti e ascendenti, uniti in una sorta di danza; pulsioni maschili e femminili che si rincorrono, rendendosi indistinguibili, come un Apollo che diventa Dafne, confondendosi in un’unica cascata di alloro.

Di recente l’artista ha presentato Stele dei cocci (2024) per l’inaugurazione del nuovo spazio della Galleria Z2O di Sara Zanin a Testaccio, una scultura in ceramica di 200 x 55 x 30 cm composta dall’assemblaggio di più parti, con inserti in resina che simulano una continuità del materiale. L’opera raffigura la stilizzazione di una portatrice d’acqua, un rimando all’anfora, simbolo di Testaccio, rielaborata nello stile dei cocci, come omaggio, invece, al Monte dei cocci e alle sue stratificazioni. Attualmente sta lavorando, a seguito del Premio Faenza e grazie alla vittoria di un bando SIAE, a un’installazione permanente site-specific per la scalinata d’ingresso del Museo Internazionale della Ceramica, che inaugurerà il prossimo autunno nelle Giornate del contemporaneo. L’intervento rivestirà la scalinata razionalista, inondando i gradini in pietra di un tappeto liquido di maiolica e resina dai diversi colori e volumi, esperibile a piedi nudi, per permettere al pubblico di percepire spessori e consistenze dell’installazione.

Credo che potrebbe essere interessante, per una possibile e ulteriore evoluzione della sua pratica, l’approfondimento di teorie dell’immagine attive nel dibattito contemporaneo (come possono esserlo ad esempio gli studi Didi-Huberman sul ritorno dell’immagine), così da poter arricchire il discorso concettuale di un’ancora maggiore profondità.

L’evidente maturità di un linguaggio estetico personale, strutturato in anni di pratica e sperimentazioni, permette invece all’artista di rendere in modo pienamente efficace la formalizzazione delle sue ispirazioni, in una perfetta sinergia tra significante e significato.