Elena Bellantoni

Vibo Valentia 1975
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Nicolas Martino
29 febbraio 2024

Nello studio visit precedente, Lara Demori notava come nel lavoro di Elena Bellantoni lo «smascheramento delle dinamiche di potere» costituisse una «ragion d’essere dell’operazione artistica». Concordo con questa analisi perché, in effetti, qui si può individuare il trait d’union del lavoro di un’artista che ha alle spalle una carriera importante. Dopo aver studiato storia dell’arte a Roma, Bellantoni ha perfezionato la sua formazione a Londra e a Parigi, mentre a Berlino ha maturato un’esperienza come organizzatrice e animatrice della scena artistica.

Oggi, attraverso la performance, il video, la fotografia, le installazioni, l’artista indaga le dimensioni dell’identità e dell’alterità, mettendo in gioco il proprio corpo e usando il linguaggio dei mass media in una chiave che ricorda quella già esplorata dalle artiste che hanno praticato la poesia visiva negli anni Settanta. Quindi, se da un lato Bellantoni si inserisce in un filone che possiamo definire di ‘arte politica’, internazionalmente molto fecondo, lo fa però caratterizzandosi per un’attenzione particolare alla questione femminile, partendo da sé e sviluppando ulteriormente una traccia che ha caratterizzato la scena degli anni in cui è nata. Qui, mi pare, si può ravvisare un altro tratto caratteristico del lavoro, ovvero l’attenzione per la dimensione generazionale, da un lato, e dall’altro per l’aspetto poetico della soluzione formale.

Se guardiamo all’ultimo lavoro realizzato in collaborazione con Dior per la recente fashion week parigina, ritroviamo questi elementi, ovvero la critica ai modelli femminili che nel tempo sono stati costruiti dallo sguardo maschile e diffusi dai mass media soprattutto dal secondo dopoguerra in poi. In Not Her (2023), l’installazione costruita per l’evento, le modelle hanno sfilato davanti ai molti simulacri pubblicitari di Bellantoni, che si calava dentro questi diversi modelli mentre una serie di parole entrava in cortocircuito con quanto le immagini avrebbero voluto comunicare. Poeticamente, il rimando è alle tecniche verbo-visive del Gruppo 70 e al détournement dell’Internazionale Situazionista, ma in un contesto contemporaneo. In questo senso le pratiche artistiche possono diventare un’arma di disintossicazione di massa e qui la chiave sembra essere quella del culture jamming della rivista canadese «Adbuster».

Allo stesso tempo, in un’opera realizzata a stretto contatto con i lavoratori di una fabbrica tessile, sembra emergere la potenza della poesia come via di fuga dagli automatismi imposti dal mondo contemporaneo. Si tratta di Se ci fosse luce sarebbe bellissimo (2023), titolo di tutta l’operazione e anche di un neon blu che, significativamente, riprende le parole dell’ultima lettera di Moro alla moglie, in cui una serie di abiti fabbricati collettivamente provano a generare movimenti diversi e improduttivi, interrompendo la sequenza del ritmo lavorativo. Nella stessa opera, un altro neon, stavolta rosso, riporta un verso di Guccini «C’era una voglia di ballare che faceva luce», rimandando a un tempo carico di speranza, che era quello del secondo dopoguerra, e a cui fa da controcanto l’addio struggente di Moro che, di fatto, chiude un ciclo della Storia italiana. La nostra generazione non è forse quella cresciuta durante una post-storia nella quale la poesia è diventata, sempre di più, un’arma di resistenza politica ed esistenziale? Infine, per rimanere sempre nell’ambito dei lavori più recenti, il reenactment Le ceneri di Gramsci e Pasolini (2022) mette in scena il tramonto dell’intellettuale riflettendo su alcune figure che, paradossalmente, sono state mitizzate anche perché ormai assenti dalla scena pubblica. Anche qui la condizione generazionale sembra essere particolarmente importante.

Se da un lato mi sembra particolarmente interessante anche la produzione saggistica che in Bellantoni accompagna la pratica artistica, visitando lo studio mi accorgo che molto materiale su cui l’artista ha lavorato o sta continuando a lavorare non ha ancora avuto occasione di essere esposto. Forse questo è un limite che andrebbe superato diminuendo i ritmi e aumentando gli esiti.

Per concludere, un ruolo particolarmente importante in questa pratica è ricoperto dall’attività di insegnamento, tratto caratteristico di una generazione che, al contrario di artisti che in passato avevano abbandonato le accademie di belle arti, considera la formazione una sfida politica e culturale assolutamente decisiva.

Foto di Laura Sciacovelli
Foto di Laura Sciacovelli