Andrea Kvas

Trieste 1986
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Stefano Coletto
6 febbraio 2024

Il pittore Andrea Kvas…, ma c’è un errore, più che pittore Andrea appartiene alla pittura e te ne convinci ancora di più dopo quest’ultimo incontro, in cui ripercorriamo alcune tappe e tracciamo possibili percorsi nella storia del suo lavoro. Il suo studio è condiviso con Andrea Contin e Aronne Pleuteri. Nel 2008 vince un premio alla Collettiva della Bevilacqua La Masa e nell’anno successivo gli viene assegnato un atelier. Il premio consisteva anche nell’acquisizione del lavoro e non si trattava di una tela, bensì di un intervento pittorico in punti non immediatamente visibili dello spazio espositivo, quindi lo stipite di una porta, l’angolo di una scala e così via. Finita la mostra, cancellato il lavoro. Nascondersi, spostare, la deviazione improvvisa, il ribaltamento della norma, l’imprevedibilità (come scritto in una recente intervista): attitudini che ritornano.

Dopo Venezia, colleziona mostre collettive e personali, esponendo da Cripta 747, Galleria Zero, Chert Gallery. Si colloca tra gli artisti italiani più interessanti. È presente a That’s It a Bologna; sperimenta collaborazioni e alchimie con personalità che hanno intrapreso percorsi diversi. Ricordiamo Brown Project e Laboratorio. Si cimenta anche nella curatela di mostre presso A+A e Clima Gallery.

All’osservatore, Andrea suggerisce «Cerca!», quindi avvicinati, spostati, scruta. Pittore/Pittura: «Solo in due mostre sono stato considerato parte di una scena pittorica; la gigantesca collettiva alla Triennale, Pittura italiana oggi, e una mostra da Francesca Minini, Dizionario di pittura, del 2014…». Proprio da Francesca Minini sperimenta una tecnica che ricorda lo strappo sul muro, un agglomerato informe, pesante ed eterogeneo applicato al muro che così diventa tela. Avviene spesso. Mettere in discussione la pittura e la sua tradizione. Ad esempio: orizzontalità pollockiana, cifra stilistica tipica di Andrea, decostruita staccando il pavimento; ricerche support surfaces, ma sporcate negli allestimenti di mucchi di tele, come fossero tessuti (Pinot Gallizio?); minimalismo e monocromo, ma cambiando formati, spessore, con tracce di colore che debordano oltre la frontalità; gestualità alla Hartung, ma riassorbita dalla sperimentazione di materiali inusuali provenienti dal mondo del restauro. Tensione libertaria, anche per sfuggire al mercato, fortemente speculativo e manipolatorio, come succede spessissimo nella fame di pittori emergenti.

E poi quelle vasche, viste a una fiera alcuni anni fa, 2016. Un contenitore di legno quadrato con uno strato spesso di resina, gommalacca, una sorta di monocromo ma liquido, lucente, denso con piccoli grumi; quindi i bordi del contenitore dipinti in modo analitico e minimale: linee, profili e decentramento.

«volevo fare i pois senza usare i pennelli». Lo studio appare caotico, tracce baconiane, ma, mi assicura: «… a volte riordino e poi torna così». Si tratta di entrare e uscire dallo spazio pittorico, inteso come campo di forze e performance, applicando stratificazioni di tecniche e materiali, sperimentando asciugature e strumenti oltre i pennelli (guanti, legni, giunti). Così, dopo la scoperta del cartone alveolare, Andrea riesce a plasmare in modo nuovo il supporto, adattarlo con più leggerezza e duttilità, immaginando sedute, mobili, totem sculture, rilievi.

In questo periodo sta lavorando per una personale da Thomas Brambilla. Lo si vede al lavoro su un teschio, che affiora dalla mescolanza dei gesti, degli impasti: una sorprendente e rarissima, forse unica, figura beffarda.

A volte, il desiderio di rimescolare tutto, rende la figura di Andrea sfuggente e spiazzante. L’energia espansiva sembra diventare volontà di negazione, indecisione, come un rifiuto sfrontato allo sguardo che cerca di comporre ciò che percepisce, un rilascio di tensioni meramente entropico. E questo può diventare un limite.

Eppure, proviamo a indagare un suo lavoro recentissimo, nella collettiva milanese sulla «pittura bassa e sfrangiata», Glitch, da Building, curata da Chiara Bertola e Davide Ferri. Tra opere di artisti italiani e internazionali, Andrea si distingue per un grande lavoro dove resine e pigmenti forgiano un grande paesaggio. Proviamo a coglierlo per dettagli, come se volassimo sopra con un drone. Pare di esplorare tutto il possibile. Improvvisamente si incontrano momenti di limpidezza, rimbalzi di materia che affiora o affonda, accostamenti cromatici vitali: ecco la vertigine migliore.

Alla fine, con le parole di Andrea, con una frase presa da un suo intervento come curatore: «tutto nasce da un desiderio di esplorazione, di tuffarsi nell’ignoto: il desiderio di spaventarsi».