Alessandro Sambini

Rovigo 1982
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Stefano Coletto
24 gennaio 2024

Perdonami Alessandro, ma provo questo esercizio di sintesi sulle note biografiche. Si laurea a Bolzano in Design. Ritorna nei luoghi d’infanzia per circa due anni in cui si dedica alla fotografia di paesaggio e, quindi, il salto a Londra, al Goldsmiths College, per studiare Research Architecture. Qui vive la sua esperienza formativa più importante (‘fotonica’ dice lui), con possibilità di riflessioni, esperienze, incontri speciali. Un lungo curriculum con mostre, premi (MIA Art Fair New Post Photography Award 2022, Fabbri per la Fotografia 2021, XXIII Premio Gallarate Per Le Arti Visive, Terzo Paesaggio. Fotografia Italiana Oggi); il suo lavoro è presente in diverse collezioni quali quelle del MART, MAGA, e della Fondazione MAST di Bologna. E poi l’insegnamento: NABA a Milano e LABA a Brescia.

Parliamo a distanza del suo studio a Milano, condiviso con Zepstudio, agenzia di produzione video e foto. Racconta di sé con leggerezza, ironia, disquisisce pensando sempre a possibili ulteriori parole di senso; gli piace ‘scivolare fuori’, allargare lo spazio oggetto di una indagine, come l’infrastruttura algoritmica che ci porta ovunque.

Lo studio è costituito da tre tavoli. Quasi un metodo: uno per disegnare, uno per i computer, uno per le tastiere. E ciò che serve per la ricerca musicale che corre parallela con quella visiva, collaborando, tra gli altri, con artisti come Francesco Jodice o designer come Ugo La Pietra. Alessandro possiede una spiccata attitudine alle collaborazioni nelle sue perlustrazioni artistiche, le chiama ‘piccole festicciole’, come l’interessante progetto POIUYT nato nel 2017, pratiche multidisciplinari delle attività performative; oppure Mario, presentato ad Artissima nel 2021. Quel giorno mi disse «ti arriverà una foto che qualcuno ti scatterà»: cosa succede tra chi fotografa e chi viene fotografato?

Alessandro Sambini è una figura preziosa per il contesto della ricerca artistica italiana emergente; fa parte di quegli artisti che interrogano la fotografia (anche smettendo di produrre immagini) e la produzione di cultura visiva, nell’incessante aggiornamento tecnologico che caratterizza gli ultimi venticinque anni. ‘Il fotografico’ è ricerca visiva, si produce con azioni e articolazioni di processi partecipativi, fisici e mentali, virtuali e analogici, coinvolgendo temi sociologici e antropologici, partendo anche dall’ambiguità e dal banale dell’immaginario quotidiano. Penso all’inquietante ricerca iconologica sui sistemi GAN Human Image Recognition, ipotizzando di essere una intelligenza artificiale che si interroga su quello che vede per apprendere. Connetterei il suo approccio al lavoro straordinario di Paolo Cirio, a quello metamorfico di The Cool Couple, all’intelligenza sottile di Emilio Vavarella. Lo spazio critico italiano, per Alessandro, si compone, tra gli altri, di Francesca Lazzarini, curatrice della sua mostra personale nel 2023 presso la Galleria Michela Rizzo, Mauro Zanchi (di cui ricordiamo l’importantissima ricerca sulla Metafotografia, con Sara Benaglia), Andrea Tinterri (codirettore artistico della preziosa piattaforma online della galleria Indice.

E tra gli artisti? mi parla di Fabio Mauri, del flash di Philip Lorca di Corcia (riferimento per il progetto Ghe’ Pronto!, 2007), dell’estetica di Francesco Vezzoli. Mi viene in mente Franco Vaccari, quindi il metodo, le istantanee, la partecipazione al bellissimo progetto Tecnocopia.

Dopo la mostra del 2023, tra i lavori in corso, Alessandro cita il progetto 1624 (curato da Elena Forin), il tentativo con una performance pubblica di ricreare la partita amichevole Francia – Germania che fu interrotta dalla tragedia degli attacchi terroristici di Parigi. Un lavoro ardito di meta-comunicazione su un simbolico complesso e delicato. Quindi accenna alla ricerca di fantasmi in un gioco virtuale, per interrogare lo statuto specifico imposto dal visore tra ciò che vedo e ciò che sento.

Certo, con sguardo critico, ritorna questo rinvio continuo a un visibile che comunque non si dà mai completamente di fronte a noi; processualità verso il virtuale, il metaverso, ma che ne è però delle tensioni fisiche e corporee di fronte a tutto questo? Come comunico il senso di quella paura? La progettualità di Alessandro pare a volte anestetizzare il corpo, l’embodiment, oppure il trauma, come nel reenactment di 1624: astrazioni che abbandonano qualcosa.

L’attualità della sua ricerca è pensare all’immagine nel digitale come progetto, riprendendo Vilem Flusser e, quindi, un vuoto che riempiamo o cerchiamo di riempire; se il fotografo è una sorta di editor, naviga tra le possibilità che abbiamo di essere oggetti osservati, autori, osservatori, attori; grazie ai software, ciò che è umano e ciò che è meccanico si confondono e si ibridano e l’editor manipola ruoli, materiali, processi produttivi e concettuali dall’interno.

foto di Raquel Carolina Mejia