Leonardo Meoni

Firenze 1994
Vive e lavora a Firenze e a New York
Studio visit di Edoardo De Cobelli
27 dicembre 2023

Fino a che punto un materiale soffice può essere oggetto di un messaggio violento? Possono le trame del velluto ospitare il trauma, il travaglio o il fallimento di un’opera? Queste sono le domande che pongono le opere di Leonardo Meoni, dietro uno sguardo tattile che avvolge l’osservatore con la matericità del tessuto. Nel suo studio di Prato, Meoni passa le sue giornate a fare e disfare, cancellando continuamente i disegni fatti sulla tela, che da alcuni anni tende il suo materiale privilegiato, il velluto, un tessuto pregiato rispetto alle normali tele, che lui stesso definisce ‘viziato’.

Sul vello le tracce impresse sono frutto dei movimenti eseguiti in pelo e contropelo, ma anche in altre direzioni, che a loro volta si moltiplicano spostando il punto di vista di osservazione, a seconda dei riflessi che la superficie restituisce. È così che l’immagine sembra sfuggire a un suo pieno impossessamento, rendendo il rimando di ombre e lucentezze parte integrante dell’opera. Leonardo tende, liscia, raschia e modula il velluto fino a creare un rebus di tracce e figure, una combinazione tra immagini e segni al limite tra riconoscibilità ed evocazione. L’opera A Snare, esposta nell’ultima collettiva, intreccia forme appuntite, spuntoni e speroni, che compongono una raffigurazione tutt’altro che mite, a tratti violenta: lampadari, catene e asperità provengono da un paesaggio mentale americano, sede della sua galleria. L’immagine è articolata e mai banale; cancellando e rifacendo Meoni reinventa un processo di stratificazione che nasce dalla pittura e, benché non ne resti traccia evidente, esso si coglie nella complessità della composizione, che gioca sui livelli del tratto e del segno.

Meoni viene da un passato di pittura e tende, infatti, a definire le sue opere in tessuto tele. Comprato per la prima volta in un mercato di Prato, con il desiderio di «fare qualcosa di intoccabile», il tessuto è inizialmente solo la superficie di un disegno dove nulla si toglie e si aggiunge, dove la rappresentazione nasce da un semplice spostamento, è effimera, quasi temporanea. Se in un primo momento lo spostamento è l’unica azione intrapresa sulla tela, con pennelli o oggetti diversi, in un secondo momento le tele diventano bicromi e, in occasione della fiera d’arte di Torino, Meoni comincia a intervenire sul velluto con la candeggina, creando delle striature scolorite che mutano il tessuto senza consumarlo. Ogni personale mostra l’evoluzione di una ricerca che, come un domino, aggiunge un elemento al precedente senza creare discontinuità.

Il mondo e il mercato dell’arte tendono ad affezionarsi all’espressione di riconoscibilità di un’artista, ingabbiandolo in un universo chiuso, spesso riferito a una serie o a una tipologia di lavori. Questo è un ostacolo per molti, e Meoni decide di eludere mutando, gradualmente ma costantemente, il risultato del suo lavoro.

La natura del suo rapporto con la superficie nasce da una condizione di inadeguatezza e di continui fallimenti nel processo di creazione e procede per tentativi, per cancellazioni, per errori dovuti al superamento di limiti che l’artista, man mano si trova a riconoscere e ad ammettere. Meoni non si è mai trovato a suo agio con la pittura a olio, troppo indiretta e mediata, e ha così trovato una superficie più reattiva agli stimoli e alle sue necessità. Dietro all’uso di un materiale che certamente va incontro a un apprezzamento estetico di tipo classico, si cela però un continuo scontro con la forma della rappresentazione e soprattutto dell’artista con sé stesso, un contrasto che è fulcro della matrice creativa e della spinta a seguire nuove strade. Se non si può parlare di «tematizzazione del fallimento tecnico», come per la pittura di Tuymans secondo alcuni storici, il fallimento tecnico (l’errore, le scelte inopportune), le cancellazioni, i continui rifacimenti, al limite dell’esorcismo nei confronti della rappresentazione, sono il processo artistico da cui emergono le delicate articolazioni di tratteggi delle tele di Meoni.