Juan Pablo Macías

Puebla 1974
Vive e lavora a Livorno
Studio visit di Angel Moya Garcia
10 dicembre 2023

La percezione dell’immagine come oggetto per indagare la gerarchizzazione e le strutture di potere sociali, il pensiero anarchico come attivatore di relazioni tra essere umani e natura e i processi di condivisione e diffusione del sapere, che emergono nello studio visit realizzato precedentemente da Marco Trulli, mi hanno spinto a tornare da Juan Pablo Macías per scrutare come queste narrazioni si sviluppino formalmente e quanto possano essere incisive all’interno di un sistema dell’arte liberista.

L’attenta lettura di alcuni pensatori dei margini, Spinoza e Deleuze in primis, che nella loro riflessione hanno affrontato in maniera critica le strutture di potere, hanno portato l’artista a concentrarsi sulla diversità come connettore sociale. Allo stesso tempo, il tentativo di osservare la società dall’interno per sottolinearne le discrepanze, collega la ricerca di Macías a quella di artisti che indagano l’omologazione delle strutture di potere, indipendentemente dalla loro origine.

In questo senso, il lavoro di Juan Pablo Macías si colloca come un processo di ricerca sull’anarchismo che deriva da una critica alla rappresentazione e che si declina in progetti editoriali, poesia, video, installazioni o performance. Ambiti molto diversi tra di loro che vengono elaborati o sviluppati come istanti insurrezionali o come atti sovversivi verso i sistemi di rappresentazione in generale. Nella maggior parte dei lavori, emerge soprattutto la necessità di smilitarizzare il linguaggio, rendendolo incomprensibile, corrodendo l’uniformità dell’esercito composto dalla sintassi, per dirla con Cage, in modo da mettere in discussione il concetto di normalità e come delimitazione tra quella parte morta e quella viva

In questo momento sta lavorando, tra l’altro, alla progettazione di Society for Improbable Rehearsals on Music Theater and Poetry, un progetto artistico collaborativo basato sulla sperimentazione e sulla disgregazione di formati e contesti di grammatiche diverse attraverso la produzione di performance improbabili di musica, teatro e poesia. Ispirato nella Verein für musikalische Privataufführungen (Società per spettacoli musicali privati), fondata a Vienna nell’autunno del 1918 da Arnold Schönberg, l’idea è quella di riunire una serie di musicisti su un palco allestito sotto un cavalcavia (lo stesso dove era ubicata la galleria Salvator Rosa) in cui arbitrarietà, casualità, dilettantismo e rischio articoleranno le sessioni performative, sempre concepite come prove e mai come presentazioni finali.

Se è vero che il pensiero di Macías trova la sua sede più appropriata in processi aperti, condivisi e imprevedibili, è altrettanto vero che la maggior parte dei lavori tende a sacrificare una formalizzazione compiuta o un’estetica scevra di riferimenti politici o sociali in relazione alla propria cultura o al pensiero anarchico a favore di un’apertura verso nuovi formati di presentazione o verso una collettivizzazione autoriale. In questo caso, la soglia tra arti visive, letteratura e attivismo politico diventa talmente sottile da poter essere fraintesa.

Questi possibili fraintendimenti vengono, tuttavia, sfruttati dall’artista messicano attraverso meccanismi che traggono beneficio proprio dalle regole strutturali ed economiche del sistema dell’arte o dalle aspettative di chi ne fa parte. Deviando i fondi raccolti per mostre, facendo esplodere le possibilità di divulgazione, socializzazione e impatto politico di ogni progetto e cogliendo le alternative possibili, tutto il suo lavoro si orienta verso le dinamiche contraddittorie che caratterizzano il sistema capitalista a cui l’arte è assoggettata per cercare contesti, contenuti, pubblici o modalità di fruizione completamente insolite rispetto a ciò a cui ormai siamo abituati.