Filippo Berta

Treviglio 1977
Vive e lavora a Bergamo e a Milano
Studio visit di Angel Moya Garcia
29 novembre 2023

Filippo Berta non è legato a un territorio specifico, ma la sua progettualità lo porta a spostarsi in contesti sociali differenti, da cui dipende la natura stessa del lavoro. Insegnante dal 2017 al 2023 presso la Fondazione Modena Arti Visive, nel 2008 è stato tra i vincitori alla 4ª edizione del Premio internazionale della performance, Galleria Civica di Trento, mentre nel 2019 ha vinto un finanziamento dell’Italian Council con il progetto One by One. La sua concezione dell’opera come uno specchio colloca l’individuo in una posizione dove poter destrutturare l’idea del sé, e di conseguenza anche del noi, generando un circuito chiuso in cui l’autore stesso sparisce. Questo è il motivo per cui sostiene che l’arte immette nella realtà sociale domande disorientanti, piuttosto che risposte. Nei suoi quindici anni di percorso artistico ha usato la performance come mezzo d’espressione principale ─ sebbene non si ritenga un performer ─ perché gli ha permesso di porre l’essere umano in situazioni di auto-rappresentazione.

Le tensioni insite nell’individuo, generate da frizioni con la società d’appartenenza, costituiscono l’urgenza artistica di Filippo Berta, il quale nei suoi lavori mostra come la fragilità dell’essere umano si esprima in diverse forme di confini, dualismi e subordinazioni. Questo è il motivo per cui dal 2008 ha iniziato a realizzare performance collettive, basate su un unico gesto corale, semplice e uniformante in disarmonia con le peculiarità di ogni singola persona, la quale si auto-rappresenta semplicemente con l’unicità della sua presenza fisica. In sintesi, si può sostenere che i suoi lavori siano una parodia della natura umana, anche quando l’essere umano è rappresentato nella forma allegorica dell’animale. Le sue performance sono la concretizzazione di un disegno, in cui Berta cerca una sintesi estrema nell’immagine disegnata, che poi si concretizza in uno scatto fotografico. In altri casi, il video si rende necessario, in quanto l’azione performativa è strettamente legata a luoghi inaccessibili al pubblico. Il montaggio del video è studiato in modo che qualsiasi forma di fiction e narrazione sia ridotta ai minimi termini.

Nel contesto dell’arte attuale, possiamo identificare le sue performance collettive come una presa di posizione ideologica e politica rispetto a un sistema dell’arte in cui l’autorialità diventa parte integrante dell’opera. Nel suo caso non si tratta di allontanarsi dal risultato formale, quanto di rendere consapevole ciascuna delle persone che concorre a tale risultato, costitutiva e costituente, per allargare gli orizzonti creativi, per creare una comunicazione allargata, per dilatare il campo di azione e di riflessione.

Ultimato nel 2021 One by One, dopo sei anni di lavorazione, e dopo aver realizzato nel 2022 la performance inedita Handle with Care presso la Fondazione Civitella Ranieri a Umbertide, oggi Berta è tornato nella sua fase di indagine, caratterizzata da una serie di testi e disegni. Una necessità cui l’artista torna ogni volta che giunge al termine di un percorso, propedeutica a una sintesi estetica che ottiene attraverso il sovrapporsi di sollecitazioni accumulate nel tempo. Il riconoscersi nella ripetizione seriale dell’identità, fino ad accarezzarne la profondità è l’anima di questa sua parentesi temporale lavorativa, volta a ribaltare e ricontestualizzare concezioni assodate dell’essere, fino a giungere allo svelamento di un’individualità che vuole sfuggire all’omologazione.

Sicuramente il principale aspetto critico che intravedo nel suo lavoro è la mancata correlazione tra una produzione relativamente limitata, dovuta ai lunghi periodi di ricerca, produzione e formalizzazione, rispetto a un numero ingente di mostre e appuntamenti cui l’artista è invitato, dove il rischio è la sovraesposizione, l’apatia dello spettatore per una poetica più volte reiterata.

I punti di forza, però, emergono proprio se guardiamo questa criticità da un’altra prospettiva, ovvero quella di un artista che non segue la ricerca continua di novità, non pedina le mode o le richieste e non accetta i dovuti o abituali compromessi inerenti a nuovi appuntamenti in cui avere sempre qualcosa di disponibile. La sua ricerca è lenta, analitica, soppesata, con progetti che possono rimanere statici per anni prima di trovare un luogo, una modalità, un impulso per essere veicolati al pubblico.