Alessandro Vizzini

Cagliari 1985
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Edoardo De Cobelli
31 ottobre 2023

A seguito di un’ampia mostra personale al Pastificio Cerere, Daniela Bigi ha visitato alcuni mesi fa lo studio romano di Alessandro Vizzini per Panorama. Una riflessione che raramente emerge dai testi relativi alle mostre di Vizzini e che invece viene sollevata nel testo di Bigi è la questione del tempo. L’atemporalità immersiva che trasmettono le forme scultoree non è infatti, nella ricerca dell’artista, programmatica, bensì il risultato del graduale processo di sottrazione che caratterizza tutta la sua pratica. Questo processo è fisico e mentale: da una parte, perché le sculture in poliuretano ad alta densità, come quelle della serie Scenari, nascono da blocchi di materiale che l’artista scava e leviga esattamente come uno scultore fa con il marmo; dall’altra, perché la ricerca visiva di Vizzini cerca di trovare, attraverso una lunga introspezione, l’essenza di un’idea e di una rappresentazione visiva, come rispondendo a un algoritmo di efficienza espressiva attraverso il minimo movimento. Gli angoli sono smussati, i bordi sfuggenti, le forme non rappresentano, ma alludono, evocano l’immagine o l’idea di partenza, tradotte attraverso stati emotivi, interpretazioni e riproduzioni continue. Questa lavorazione, paragonabile al principio di una sedimentazione a ritroso, può ricordare l’operazione di smussamento che il mare compie con il vetro, che dimentica le sue iniziali sporgenze. Dal punto di vista dell’immagine rappresentata, le sculture sembrano così evocare un soggetto, togliendone la specificità del luogo e della temporalità da cui traggono origine.

Non sono molti gli artisti che, nel panorama italiano, intrattengono un rapporto ambiguo con il riferimento scultoreo, fino a farne perdere le tracce: Alice Ronchi riduce formalmente le sagome e i soggetti, ma mantiene un riferimento diretto con la rappresentazione; Davide Allieri, il cui riferimento per l’ultima serie in vetroresina è il concetto di contenitore, o in altri casi il silos, se ne allontana nella misura in cui trasforma il suo approccio scultoreo in relazione con lo spazio.

La vivacità scultorea di questi anni, in Italia come all’estero, predilige la ricerca di forme sempre inedite e nuove, combinazioni di materiali e tecniche diversi, talvolta volutamente dissonanti, come nel caso di Ambra Castagnetti. In questo contesto, Vizzini si rivolge a una pratica più intima, che alla forza visiva preferisce la semplicità evocativa del non detto.

Dopo due dittici, ora esposti in una collettiva alla galleria Rita Urso, Vizzini sta lavorando a una terza coppia di sculture della serie Miraggi, composizioni che rammentano architetture in scala, costruite in legno e infine rese in terracotta e resina viscosa. L’ispirazione è infatti una serie di architetture, o meglio di musei non realizzati, le cui caratteristiche vengono riprese nelle opere. In questo caso, il museo nuragico di Zaha Hadid destinato a Cagliari ─ progetto definitivamente sepolto ─ e un archivio di Mundaneum affidato a Le Corbusier dal committente Paul Otlet.

Dopo l’articolata personale romana, Daniela Bigi si interrogava sull’evoluzione del rapporto dell’artista in relazione alle singole opere, alle serie che porta avanti e a come questo sarebbe evoluto in futuro. A distanza di un anno, la ricerca di Vizzini sembra ancora sospesa intorno al vocabolario di forme in grado di restituire più pienamente la sua visione artistica, preferendo piuttosto ampliare il campo della sperimentazione, senza approfondire esclusivamente una serie piuttosto che un’altra.

Il tratto che unisce i diversi approcci, che si affacciano ultimamente anche sulla pittura, è tuttavia la dimensione narrativa e poetica che si ispira a una lettura psicogeografica del paesaggio. Questa lettura, che ha segnato il suo sguardo fin dal principio, a partire dal paesaggio sardo in cui è nato e cresciuto, circoscrive una modalità di approccio che soggiace a tutte le serie scultoree e rende la sua ricerca coerente.