Alessandro Giannì

Roma 1989
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Lorenzo Madaro
30 settembre 2023

Alessandro Giannì ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Roma ma è nell’ambiente domestico che si forma sin dalla giovanissima età, il padre – tipografo – dipinge da sempre. Un piglio onnivoro, quello rivelato da Giannì negli anni della formazione, legata anche a una dimensione teorica, a un’osservazione sistematica e al contempo vorace dei maestri della storia dell’arte del passato, anche quelli meno conosciuti, che ha guardato da vicino senza rischiare mai di inciampare nel citazionismo, ma – come vedremo – più che mai consapevole del valore della storia delle immagini. Tra le mostre personali più significative, Breaking Darkness, a cura di Giuliana Benassi e Michela Sena da Tang Contemporary Art a Bangkok, ed ancora La linea retta non appartiene a Dio (Inferno) da Contemporary Cluster a Palazzo Brancaccio a Roma, rispettivamente del 2023 e 2021. Tra le collettive più stimolanti, invece, certamente Frammenti da lontano, sempre a cura di Benassi, nella Galleria Mazzoli di Modena, e Materia nova, a cura di Massimo Mininni alla Galleria d’arte moderna di Roma nel 2021, che ha avuto il merito di tracciare le significative esperienze di artist run space e altre progettualità indipendenti romane di cui Giannì fa parte e ne è tra i protagonisti più brillanti. Lo vado a trovare nel suo studio che condivide con alcuni suoi compagni di strada nei sotterranei di Palazzo Brancaccio a Roma.

Il suo è un lavoro legato soprattutto alla dimensione pittorica, una pittura però che ha un substrato digitale, una sorta di trasposizione analogica legata all’epidermide del linguaggio pittorico, ma proveniente dal grande e infinito archivio digitale. Niente di glaciale, però, perché Giannì è riuscito a creare immagini con i tradizionali mezzi del pittore, elaborandole digitalmente (per poi trasferirle manualmente sulla tela). Nei suoi lavori compaiono così immagini provenienti da un archivio potenzialmente inesausto e proprio per questo assolutamente interessante. Nessuna nostalgia, nessun riverbero di “pittura colta”, nessun passatismo: Giannì ci sta facendo capire che il digitale è una possibilità per rileggere la Storia. Questa sua convinzione affiora con cosciente consapevolezza nel momento in cui trasforma qualcosa di molto freddo e calcolato (anche inumano) in immagine calda, reale, tangibile. Contrapporre la parte fredda della elaborazione delle immagini, che avviene tramite una computazione digitale, con qualcosa di molto lento e rituale come l’esecuzione stessa dei dipinti, è un principio primario del suo lavoro, la parte emotiva del segno che interviene. «Volevo qualcosa che emulasse, ma che non fosse vincolata dal mio gusto che è quello di un essere umano», mi racconta Giannì con la calma e la concentrazione che lo caratterizzano e che evidentemente sono aspetti primari anche del suo lavoro. Da anni, ben prima che la riflessione sull’intelligenza artificiale prendesse piede, spesso con risvolti banali, Giannì l’ha impiegata senza assecondare i risvolti freddi e patinati della tecnologia. Ma il suo non è soltanto un invito alla riflessione sul valore attuale delle immagini della storia dell’arte, bensì una possibile investigazione attorno al ruolo dell’arte come ‘autore’. Dal Tondo Doni di Michelangelo, alla Pietà di Rosso Fiorentino, dall’Ultima cena di El Greco al Trionfo di Venere e alla Sacra famiglia di Bronzino: il mondo digitale è qualcosa di molto vicino all’immaginazione e al sogno e queste immagini sono quindi una trasposizione di un possibile viaggio, che dallo schermo transita sulla tela. Lo schermo oggi, soprattutto quello dello smartphone, si sa, è uno strumento come le pale d’altare del Rinascimento e le tele di Giannì sembrano proprio enormi schermi in grado di farci perdere nelle pieghe anche indecifrabili delle immagini stesse.

Per Giannì l’arte è un territorio ampio, da perlustrare giorno dopo giorno. Sarà interessante comprendere come riuscirà a integrare il lavoro sulla pittura con quello sulla scultura – ceramiche dalle conformazioni antropomorfe –, un ambito apparentemente secondario del suo discorso. Penso che questa discrasia tra il lavoro sulla bidimensionalità e la tridimensionalità possa essere risolta magari integrando queste due aree della ricerca dell’artista. La sua attitudine a essere mediatore tra il generatore di immagini e la restituzione attraverso una tecnica rigorosa è uno dei punti di forza del suo lavoro. Sarebbe adesso stimolante comprendere come potrà evolversi anche uscendo dalla bidimensionalità del quadro per farsi spazio, magari con il corpo.

Foto Carlo Romano
Foto Cosimo Mollica