Giuseppe Lo Cascio

Palermo 1997
Vive e lavora a Palermo e a Venezia
Studio visit di Daniela Bigi
28 settembre 2023

Giuseppe Lo Cascio fa parte di un gruppo di artisti che si è formato nell’aula di Scultura dell’Accademia di Palermo e che oggi colloca la propria ricerca a Palermo e a Venezia, due luoghi che per ragioni diverse permettono di approfondire la condizione della differenza. Palermo rimane il riferimento culturale portante e credo anche il pungolo che alimenta un approccio sostanzialmente politico alla realtà; Venezia è il terreno del confronto e il tessuto vivo in cui condividere una progettualità generazionale, partecipando al dibattito in atto.

Allievo di Giuseppe Agnello, Daniele Franzella e Francesco Albano, è partito modellando moltitudini di piccole figure in argilla, forse per oggettivare quella percezione della folla che destabilizza chi, cresciuto in un piccolissimo centro, si trova a doversi confrontare con le grandi città e con l’arena globale del web, sopraffatto da un flusso indistinto di immagini e di storie.

Via via la sua vocazione si è precisata in termini installativi, con un interesse marcato per l’architettura e per il design, anche se il ragionamento procedurale è rimasto quello dello scultore, che mentre cerca di dare forma a un’idea di fatto tiene presenti innanzitutto i pieni e i vuoti, e la loro relazione con lo spazio. Solo che nel suo caso, questi pieni e questi vuoti, questo rapporto con lo spazio, sono diventati gli elementi per metaforizzare le relazioni sociali tra l’uno e il molteplice e per ragionare sulla costruzione dell’immaginario e della memoria. Sulla scorta delle riflessioni sull’archivio affrontate dalla generazione precedente, si imbatte a un certo punto nell’oggetto schedario e nel frattempo, realizzando «oggetti incapaci», indagando l’“inettitudine”, recuperando le suggestioni della macchina celibe, intraprende una pratica della defunzionalizzazione che piega a supportare personali riconfigurazioni semantiche.

Incontro Lo Cascio insieme ad Alessia Coppolino, giovane critica che ha condiviso con lui una parte del percorso formativo. Ci soffermiamo a lungo sulla serie Eccetera, nata nel 2020, che si incardina sulla questione archivio/memoria: nell’eccetera c’è tutto quello di cui dichiariamo l’esistenza ma che non ci soffermiamo a elencare o, per estensione, a raccontare, quindi, come sottolinea Eco in Vertigini della lista, l’eccetera si palesa come strumento di potere. Questa serie di opere consiste in schedari dall’estetica molto studiata, dispositivi per la conservazione documentale apparentemente perfetti, ordinatissimi, capientissimi, che in realtà raccolgono soltanto cartelle vuote. Centinaia di cartelle vuote – prima laconicamente monocrome, oggi più propositivamente colorate – che moltiplicando la propria disfunzionalità costruiscono un vuoto simbolico potenzialmente sconfinato. Ma perché sono vuote? C’è stata una distruzione? Una cancellazione? O c’è un’impossibilità, un’incapacità a contenere?

Le generazioni si stanno avvicendando in uno scenario di inedita velocità trasformativa e il modo di guardare ai grandi temi è in costante riscrittura. Lo Cascio, soprattutto in questa serie che ha i caratteri evidenti dell’autoritratto esistenziale, sente l’esigenza di tornare a interrogare il ruolo dell’artista nel ripensamento di questioni tutt’altro che archiviabili. Memoria, potere, immaginario, Storia sono aree problematiche di nuovo in ebollizione.

Come altri della sua generazione, sceglie di spostare il punto di osservazione sulla superficie delle cose, sugli “involucri” degli oggetti e del linguaggio, ma è evidente che questa smaccata ossessione per la superficie, per l’involucro, rimanda in realtà a un corrosivo lavorio sottotraccia. E se i due livelli vengono mantenuti in tensione, l’esito è interessante. In lavorazione c’è uno schedario orizzontale completamente nero, che l’artista mette in relazione con la Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp di Rembrandt. Quello che fino a ora era rimasto sul fondo, il rimando alla morte, diventa adesso protagonista. Pensare alla morte costringe a riposizionarsi. Credo che la forza del lavoro di Lo Cascio, con il suo forte appeal estetico e la sua sottile corrosività concettuale, possa riuscire bene proprio nell’indurre a questo, a riposizionarsi.

Per farlo in modo davvero significativo dovrà osare, senza bisogno di uscire dalla comfort zone delle sue abilità progettuali e manuali e della sua capacità analitico-argomentativa, anzi potenziandola, rilanciandola, amplificandola, ma senza rimanerne intrappolato. Come per tutti, la sfida in questa fase storica è lavorare sull’indipendenza del pensiero.