Romina Bassu

Roma 1982
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Daniela Trincia
27 settembre 2023

In una delle vie che attraversano il Pigneto Romina Bassu ha allestito il suo studio. Dopo una formazione alle Accademie di Belle Arti di Roma e di Siviglia, ha abitato a Berlino, a Londra e a Cape Town (per una residenza) e ora è tornata a vivere in pianta stabile a Roma. Proprio la residenza nella capitale sudafricana ha generato indubbi effetti e ripercussioni, innervando il suo lavoro di nuove riflessioni e visioni e di un nuovo valore comunicativo dello stesso in contesti diversi, come quello africano, ancora profondamente segnato dalla storia e dagli esiti del colonialismo.

La pittura ad acquarello e acrilico su tela è la sua forma espressiva, preceduta, però, da un’accurata ricerca del soggetto, della modella, della costruzione e dell’ambientazione del set fotografico. Dunque, una pittura che si nutre della fotografia, dello sguardo settoriale dell’obiettivo. Prelevando l’impianto iconografico dagli anni Cinquanta, anni in cui viene plasmato il modello femminile cui l’artista attinge (la donna custode del focolare domestico, fortemente oggettivizzata) e ancora oggi largamente dominante e duro da scalfire, Bassu ne rinnova tuttavia il linguaggio (innegabile l’ascendente di Giorgio Morandi come quello di Ingmar Bergam), analizzando e raccontando un tema scottante dei nostri tempi, mediante la narrazione dell’aspetto più intimo delle donne. A dare avvio a tutta quella che sarà anche la sua produzione artistica successiva, è senza dubbio Archivio anonimo (avviato nel 2010): rielaborando foto di famiglia e di vecchi rotocalchi, reinterpreta il presente con immagini capaci di raccontare storie collettive. Con la mostra Male Gaze focalizza definitivamente il tema centrale della sua ricerca artistica, che trova un’ulteriore evoluzione con Panopticon, dove lo sguardo maschile viene considerato responsabile del sorgere di un’inconscia e istintiva autosorveglianza nella donna, con una conseguente e spontanea autocensura. Bassu racconta di stereotipi femminili, di oggettivazione della donna, di consumo dei corpi, di male gaze, addentrandosi nei percorsi psicologici che generano visioni allocentriche che riducono il corpo a un qualcosa disgiunto dal sé. Temi che da anni attraversano la nostra cultura, alla luce dei numerosi casi di femminicidi o del rinnovarsi di denunce di molestie a seguito, non ultimo, del metoo. Allo stesso tempo, il suo lavoro dimostra quanto il discorso intorno alla vitalità della pittura appaia accademico.

Proseguendo la sua indagine sugli archetipi, Bassu si avvale dei fondamentali apporti di Jung sull’importanza del simbolo, realizzando lavori che approfondiscono tale tematica, oscillando dal femminile al femminismo, in chiave politica e relativo sdoppiamento dell’io, del sorvegliante e del sorvegliato, abbandonando ogni sarcasmo. I suoi lavori possono apparire quasi tavole decorative, finanche fumettistiche, dove l’essenzialità viene fraintesa con una rappresentatività elementare. Apostrofata come “femminile”, la pittura figurativa di Romina Bassu è, però, molto diretta; le note decorative si accompagnano ai concetti di donna-oggetto, feticcio, riuscendo a far procedere di pari passo contenuto e forma. Attraverso una rappresentazione asciutta, atmosfere sospese, bloccate, statiche, toni scarni, essenziali, quasi virati, colori desaturati, ombre nette (come se fossero un doppio), crea dimensioni atemporali che si calano perfettamente in quella contemporanea. Volti privati di connotati, che ancor più acquisiscono un’identità collettiva. Capaci di rendere evidente anche, e soprattutto, quella condizione e quel condizionamento psicologico che accompagna la donna in una cultura maschilista.