Jacopo Mazzonelli

Trento 1983
Vive e lavora a Verona
Studio visit di Francesca Guerisoli
23 settembre 2023

Originario di Trento, Jacopo Mazzonelli da cinque anni vive a Verona, dove insegna pianoforte. La sua formazione è caratterizzata dalla musica: pianista, ha studiato composizione, direzione d’orchestra e didattica della musica. Si è avvicinato all’arte visiva sonorizzando dal vivo i primi film delle avanguardie artistiche, ha sperimentato la videoarte e la fotografia a cui poi, nella maturazione del suo linguaggio, ha preferito altri mezzi. Il suono e l’elemento temporale presentati in forma visiva, non udibile, sono alla base di ogni sua opera. Costruisce oggetti dall’impianto grafico, matematico, geometrico, attivando ritmo e musicalità attraverso la vista. Rifiuta dunque il virtuosismo tecnico dell’“ingegnere del suono” per realizzare invece, con ponderate azioni di sabotaggio e rivalorizzazione dei sensi, sculture che lo evocano.

L’approccio rigoroso nella costruzione delle opere emerge anche nell’ordine del suo studio, un grande open space con diverse opere in lavorazione e altre concluse e allestite. Qui, con dedizione, raccoglie e archivia tutti quegli oggetti che possono essergli utili e se ne serve come un proprio alfabeto artistico di base: sezioni di pianoforti, tastiere, orologi, macchine da scrivere, pagine di album fotografici vittoriani, velluti, ecc. La cura con cui realizza le opere e la sensibilità per i materiali, indagati e lavorati autonomamente, gli consentono un totale controllo diretto sull’opera. I tempi di realizzazione sono lunghi, studia anche ogni minimo dettaglio allestitivo alla ricerca, come nella musica, di un’esecuzione impeccabile.

L’attenzione di Mazzonelli per il tempo è legata alla sofferenza esistenziale contemporanea ravvisabile nella presunzione con cui si pensa di poterlo governare. «La mia è una risposta a questo frazionamento del tempo, che a livello sonoro è totale. Siamo passati da una società in cui il suono veniva utilizzato per orientarci e orientare il tempo (la campana della chiesa) a una musica da arredamento». Nel dilatare la sua comfort zone, la fa esplodere.

In diversi casi, Mazzonelli lascia un certo grado di autonomia all’opera, che può configurarsi di volta in volta come pezzo singolo o installazione a seconda del contesto, così come espandersi o contrarsi nello spazio. «C’è quasi l’idea di creare un canone, che poi è anche il tema della fuga: i temi nelle fughe devono essere perfetti, e quindi devi costruire un meccanismo modulare». Nello strutturare il lavoro in serie e nella possibilità di rimodulare l’opera si legge la tensione di pensare al tempo come a un materiale vivo, come a un atto di resistenza. Ne sono esempio i cicli Emily Dickinson ePendulum Music, del 2023. Emily Dickinson è composto da opere, installate singolarmente o a gruppi, che presentano barre di metallo di lunghezze diverse su cui sono applicati quadranti di orologi. L’opera evidenzia l’ossessione per il tempo nella scelta dei materiali (i metalli presentano diversi gradi di usura) e nella scansione del ritmo, visualizzato dalla linea di orizzonte comune suggerita dalle opere allestite a parete. Contestualmente, l’estremità superiore genera una curva, rimandando ai grafici musicali e agli equalizzatori. In Pendulum Music, Mazzonelli può esporre da uno a cento elementi. Scatole di rulli per pianola meccanica e dettagli di orologi divengono sorte di metronomi che, sfruttando il magnete e la pila, riprendono il meccanismo dell’orologio a pendolo.

Il desiderio di sperimentare tecnologie innovative sui suoi materiali d’elezione raggiunge la massima espressione nei lavori su velluto. Nella mostra da AplusB Gallery a Brescia, a febbraio 2023, ha esposto una serie di opere realizzate con velluti da sipario fonoassorbenti, lavorati per dare forma a solidi platonici esplosi. Nella serie emerge il tentativo di avvicinarsi al gesto pittorico attraverso pistole a 500 gradi, come in Anthem (2022), lavoro modulare sulle bandiere europee esposto nella scorsa ArtVerona con Galleria Studio G7. Il suono udibile è presente in opere come Breath (2022), struttura tubolare in acciaio che presenta una capsula telefonica all’estremità, che si innalza dal suolo e invita il fruitore ad ascoltare ciò che ne fuoriesce. La scultura, di impianto minimalista, appare particolarmente adatta a essere allestita all’aperto per la sua capacità di portare il fruitore in una dimensione contemplativa multisensoriale.

A settembre 2023 presenterà la performance Tabulaæ al Festival Hybrida, presso Castel San Pietro a Verona. A ottobre è prevista la pubblicazione, promossa dalla Fondazione VAF, di un’ampia monografia sul suo lavoro, a cura di Daniela Ferrari. Nello stesso mese terrà la sua seconda personale alla Galleria Studio G7 di Bologna.