Luca Ceccherini

Arezzo 1993
Vive e lavora a Torino
Studio visit di Francesca Disconzi e Federico Palumbo (Osservatorio Futura)

Luca Ceccherini studia Pittura in Accademia a Firenze e successivamente a Venezia. La sua formazione ruota soprattutto intorno al docente Adriano Bimbi che, con un approccio didattico quasi totalizzante, invita gli studenti alla scoperta della storia dell’arte italiana, in particolare quella legata al Novecento storico. Egli invita gli studenti a residenze molto lunghe in giro per il mondo, che suscitano in Ceccherini una profonda riflessione sulla pittura en plein air e sull’osservazione del vero, inteso come forma di conoscenza. Questi spunti risultano essere fondamentali e portano l’artista a compiere una riflessione sull’arte tout court, che matura con il suo spostamento a Venezia e nel suo successivo trasferimento a Torino. Per l’artista lo spostamento in altre città coincide con un cambiamento di riferimenti nella sua pittura. Vi è un certo ripensamento nostalgico al luogo di provenienza e al paesaggio bucolico della campagna di Arezzo, che tuttavia non si traduce nella rappresentazione del paesaggio stesso, ma piuttosto nella resa di una dimensione intima e familiare, in cui il paesaggio funge da ambientazione e da collante narrativo. Ceccherini parte, dunque, da una riflessione sulla narratività stessa del lavoro. La sua pratica consiste nel prelievo di elementi iconici depositati all’interno di un retaggio comune e senza tempo. Essi, nella costruzione dell’immagine, perdono la specificità della propria narrativa culturale restando al tempo stesso sia un simbolo riconosciuto, sia un contenitore per nuovi significati.L’accostamento di più immagini diventa quindi una componente fondamentale per la formazione di un nuovo glossario simbolico, che trova le sue radici in un passato arcaico e indefinito, capace di fondersi con quello personale e nostalgico (Agrumi e capitano, 2021; Gaston de Foix e i suoi segugi, 2021).

Ceccherini porta avanti una riflessione sulla lentezza della pittura, la cui prassi passa da lunghi momenti di osservazione e realizzazione, in contrapposizione con i ritmi frenetici della contemporaneità; ciò rende il lavoro libero da ogni vincolo sui discorsi di attualità. Atemporalità sottolineata dalla scelta di simboli che non possono essere contestualizzati nel tempo, evitando così di distrarre il fruitore dall’atmosfera complessiva del quadro. Un immaginario ideale e atavico in cui la dimensione antropologica si risolve unicamente nella figura umana e non in attributi e opere dell’uomo, quali strumenti o vesti. Si tratta di un’idealizzazione riconducibile ancora una volta alla biografia dell’artista e all’atlante visivo della sua infanzia.

Le tele di grandi dimensioni realizzate nell’ultimo anno per la sua recente personale da Sottofondo Studio ─ spazio no profit situato proprio ad Arezzo ─ sono un vero e proprio assemblaggio visivo di elementi simbolici in grado di dare l’incipit allo sviluppo del racconto. Essi si possono tradurre in figure ambigue diversamente interpretabili: un fuoco è al tempo stesso, ad esempio, anche corallo (Fuoco di corallo, 2023), e così via. Inoltre, tali simboli indirizzando l’occhio dello spettatore, fungendo da appigli visivi che compongono la struttura dell’immagine, che non si esaurisce nello spazio della tela ma che potrebbe piuttosto proseguire idealmente all’infinito (Agguato sul crinale, 2023).

L’artista si dimostra conscio del fatto che non bisogna mai dirsi arrivati a un punto stabile quando si parla della propria ricerca. Infatti, alcune criticità possono essere riscontrate in una sorta di indecisione nel processo di formalizzazione, che spesso è in bilico tra astrattismo e figurazione. Indubbiamente, questo può anche diventare un punto di forza, lasciando diverse possibilità di sperimentazioni pittoriche e formali, che però dovrebbero risultare più consce del proprio valore stilistico.

I punti di forza risiedono nella capacità delle opere di creare un’atmosfera, offrendo la possibilità di leggere il lavoro in modo istintivo. Degno di nota è l’aspetto formale e la capacità di far emergere gli elementi chiave della narrazione, dando direzioni visive attraverso la luce. Quest’ultimo aspetto, infatti, risulta essere ben bilanciato all’interno delle opere e Ceccherini si dimostra abile nel saper dosare i diversi punti di luce che, anch’essi, guidano la percezione complessiva dell’opera, insieme ai colori che donano al lavoro un ulteriore valore aggiunto.

foto Davide D’Ambra
foto Davide D’Ambra