Panorama - Studio Visit - Guerisoli - Francesco Fossati

Francesco Fossati

Lissone 1985

Vive e lavora a Lissone

Studio visit di Francesca Guerisoli
15 febbraio 2022

Francesco Fossati è uno di quegli artisti che ha scelto di portare avanti la propria ricerca immergendosi quasi interamente nel suo luogo di origine. Si tratta di Lissone, in Brianza, un territorio dove nel 2015 ha riscoperto una vocazione messa da parte anni prima: l’agricoltura. Un ritorno alla terra, alla relazione diretta, che ha acquisito sempre più forza nella sua pratica artistica. Sebbene il suo percorso da sempre sia costellato da una netta prevalenza di lavori che si basano sull’elemento naturale come oggetto dell’opera, è però negli ultimi sette anni che Fossati ha radicalizzato tale pratica agendo nella direzione della sostenibilità ambientale e cercando di fare un passo indietro nella relazione tra lui come autore e la natura come oggetto funzionale all’opera. In tutto il suo lavoro rimane comunque ferma l’azione dell’artista come colui che guida l’elemento naturale verso una calibrata sintesi formale. Nelle opere che presentano composizioni di elementi vegetali – come, ad esempio, foglie nella serie Organic Pictures (dal 2016) –, questi imprimono direttamente la propria immagine sulla tela di cotone biologico attraverso un processo di bollitura in acqua, creando disegni astratti dati dalle piegature della tela, funzionali alla sua immersione. Le foglie divengono, così, pattern che vanno a definire strutture e ritmi prevalentemente geometrici. Il connubio che si crea tra elementi fitomorfi, caratterizzati da sinuosità e linee curve, e le figure geometriche così composte creano una tensione tra i due universi. Ne consegue una serie di opere che hanno una chiara dimensione estetica, oltre al sotteso tema ambientale, di cui l’artista in prima persona segue anche il processo di intelaiamento, utilizzando legno locale. Di interesse è anche la questione della stagionalità, introdotta da Fossati, in relazione a tali lavori: adeguandosi ai cicli della natura, l’artista limita la realizzazione delle opere al periodo in cui può raccogliere gli elementi utili da terra.

Il processo che ha portato Fossati a evolvere verso una pratica sempre più legata alla sostenibilità ambientale ha toccato il suo apice, a mio avviso, in The Wrong Colours (2020 – in corso), un progetto partecipativo che riflette sulla pittura attraverso una pratica extrapittorica che muove dal ripensare la relazione tra chi produce immagini e la natura stessa, che si basa su uno scambio di esperienze generato da tale progetto. Durante il lockdown, nel suo studio, Fossati ha avviato una sperimentazione che lo ha portato a confezionare artigianalmente alcuni lotti di colori a olio, usando esclusivamente essenze naturali. Il tubetto di ogni serie contrassegnato con “00” è identificato come opera, mentre i tubetti che riportano numerazioni successive sono condivisi con gli artisti che accettano di sperimentare l’uso di tali colori. Ad oggi, il progetto ha raggiunto oltre ottanta artisti, tra cui Mimmo Paladino, Luca Pancrazi e Michele Guido, Vedovamazzei, Luca Bertolo, Nazzarena Poli Maramotti, Matteo Fato, Paola Di Bello, Luigi Presicce. Attraverso una call, con l’impiego di un hashtag, The Wrong Colours è stato selezionato da Judy Chicago per la mostra collettiva Solstice: Create Art for Earth, tenutasi presso la Turner Carroll Gallery, a Santa Fe in New Mexico, tra giugno e luglio 2020, a cui Fossati ha partecipato con il tubetto “Ash-Grey 00”.

Le dinamiche relazionali avevano già caratterizzato lavori precedenti di Fossati, in particolare nel processo di costruzione dell’opera e nel suo uso nello spazio urbano. Due serie di lavori – FalseFriend (2015 – in corso) e Fakehistory Parco Nord Milano (2016) – sono state installate in via permanente in diverse città (Carrara, Edolo, Trento, Napoli, Milano). Si tratta di targhe affisse in parchi, centri storici, chiese, muri esterni di edifici pubblici e privati – strumento utilizzato da diversi artisti, basti pensare a 01.0rg a Viterbo o ai tanti, diversi, interventi nei borghi – che qui citano il monumento commemorativo dedicato a personaggi illustri, ma narrando episodi inventati che nascono dal confronto con una specifica comunità. Ne consegue una relazione ambigua tra opera e spettatore/cittadino, che lo porta a interrogarsi su quanto enunciato nelle targhe. Un esempio: «Nel 1963, dopo aver visto i colori di questi campi coltivati, Mario Schifano dipinse il suo primo Paesaggio anemico». L’opera è nata da uno scambio tra l’artista e i proprietari di terreni che all’epoca erano entrati a far parte di Parco Nord a Milano, i quali gli hanno raccontato come quel paesaggio agricolo, circondato su tre lati da autostrade, nel corso di una notte di piogge acide da rigogliosa coltivazione di basilico si fosse trasformato in una distesa di foglie gialle.