Verona 1997
Vive e lavora a Verona e a Venezia
Studio visit di Osservatorio Futura (Francesca Disconzi, Federico Palumbo)
7 febbraio 2024

«Il lavoro pittorico, incentrato su un paesaggio carico di interferenze e rumore, inteso come un esercizio intimo di distacco, cede il passo a pratiche prevalentemente performative»; così Angel Moya Garcia ben descrive il passaggio graduale dalla pittura a un approccio performativo e multidisciplinare sviluppato in modo naturale e senza troppi appigli teorici, nella pratica di Chiara Ventura. Mentre la pittura rimane per l’artista un momento circoscritto di respiro, la sua indagine si concentra perlopiù sulla dimensione del corpo e sulle molteplici relazioni che possono essere instaurate con esso, come nel caso di Mi ascolto (2019), uno dei suoi primi approcci performativi.

L’autobiografismo presente nei lavori di Ventura non è tuttavia da intendere come autoreferenziale, ma piuttosto come una dimensione ben conosciuta e a volte terapeutica, che presenta sempre una connessione intrinseca con l’universale. Quest’ultimo aspetto è evidente nella pratica che sviluppa con Plurale, il collettivo di cui Ventura fa parte, inteso come vero e proprio medium, una diversa traduzione estetica di alcuni punti nodali e fondamentali per la sua ricerca, già evidenziati da Garcia nel primo studio visit. A partire dal 2020, anno di fondazione del collettivo, assistiamo quindi al passaggio naturale e coerente per l’artista da lavori che indagano il ‘noi-collettivo’ al ‘noi’ inteso come ‘doppio’ e ‘dimensione di coppia’ (Mare mosso, 2023).

Le connessioni con gli artisti citati nel precedente studio visit (Valie Export, Gina Pane, Cesare Pietroiusti) sono relative al percorso di formazione dell’artista. Stimolante è però l’interesse per Pietroiusti, in modo particolare verso la semplicità ed essenzialità della forma senza artifici, tipiche della sua produzione.

Ventura non si rivede in altri artisti della sua generazione anche se, alcuni elementi nel suo lavoro potrebbero raccontare il ritorno di un approccio essenziale alla performatività. Vi è infine un interesse per il lavoro di Selma Selman, che tuttavia non si dimostra a livello di formalizzazione, piuttosto nell’ironia e nella ‘risata isterica’ che l’artista è in grado di suscitare.

Ventura riesce a lavorare sulla relazione non cadendo nel tranello dell’autoreferenzialità, nonostante la dimensione intima e personale sia matrice di sviluppo; l’opera diventa, infatti, universale nel momento in cui svela falle e urgenze del contemporaneo. In questo senso ci troviamo di fronte alla rappresentazione di un dualismo fluido e organico, in grado di mettere in luce come le relazioni siano di fatto dinamiche politiche. Particolarmente interessante è inoltre l’idea di riportare in auge il valore del gesto minimo, ripetuto nella sua semplicità, senza per forza ricercare un’estrema teatralità della forma e della costruzione performativa.

Gli ultimi lavori insistono sul tema del doppio e sulle contraddizioni all’interno delle dinamiche amorose. Tuttavia, Ventura sta ragionando su una certa «liberazione dall’immagine» che sfocia in un ragionamento diverso sullo spazio pubblico, in connessione con quello più intimo. L’artista dichiara comunque di voler abbandonare il tema una volta che questo risulti esaurito, al fine di non incappare in una dimensione manierista e sfuggendo alla dinamica asfissiante della riconoscibilità per un singolo elemento. Da questo punto di vista, emerge ancora meglio la purezza che si cela dietro alcune scelte stilistiche.

Dalle opere di Ventura potrebbe emergere un’auto-imposizione di alcuni limiti estetici; ciò può rischiare di soffocare troppo la formalizzazione ed è dunque un punto sul quale riflettere. In questo senso l’artista sta comunque cercando di emancipare il suo lavoro da uno schema mentale che può apparire rigido, soprattutto nei momenti di costruzione del lavoro.

Il suo lavoro appare in generale schietto e sincero, senza mai rischiare di essere volgare. Vi è sempre un buon bilanciamento tra la dolcezza poetica della formalizzazione e l’elemento politico che può essere più o meno esplicito e duro. Inoltre, il tema dell’amore ─ rischioso e infatti poco approfondito nell’arte contemporanea ─ non è mai ragionato in maniera banale o declinato in modo didascalico, ma è piuttosto restituito nella sua dimensione più profonda, empatica e vulnerabile.