Chiara Ventura

Verona 1997
Vive e lavora a Verona e a Venezia
Studio visit di Angel Moya Garcia
26 settembre 2023

Partendo da una formazione pittorica, sviluppata all’interno del laboratorio di Giovanni Morbin all’Accademia di Belle Arti di Verona, la ricerca di Chiara Ventura si sposta successivamente verso i linguaggi performativi e installativi attraverso cui indaga i luoghi scomodi o non protetti e denuncia problematiche legate alle forme di violenza. Nel 2020 cofonda il collettivo Plurale con Leonardo Avesani e Giulio Ancona, esplorando una forma empatica di esistenza per esprimere l’idea di un ‘corpo espanso’, che lavora sulle falle del quotidiano e su come la generazione cui appartiene (Generazione Z) si pone nel mondo. Particolarmente rilevanti nel suo percorso sono state le residenze a Viafarini, Milano (2021) e quella alla Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2023).

Il lavoro pittorico, incentrato su un paesaggio carico di interferenze e rumore, inteso come un esercizio intimo di distacco, cede il passo a pratiche prevalentemente performative in cui arriva ad analizzare i comportamenti e le forme gestuali con una particolare attenzione agli aspetti minimali. Nel tentativo di condurre un’indagine sullo sguardo e sulle capacità d’osservazione nei contesti quotidiani, di routine, le sue performance e i suoi interventi assumono spesso un carattere mimetico e prediligono contesti extra-artistici come lo spazio pubblico. Le contraddizioni e le tensioni dialettiche, in una società caratterizzata da dualismi e binarismi, vengono scrutate per far emergere le sottigliezze che si celano tra questi ambiti distanti. Allo stesso tempo, gli aspetti autobiografici diventano pretesti per parlare di un contesto più ampio, gli oggetti di uso quotidiano come cuscini, coperte o piatti diventano catalizzatori di energie e le prospettive individuali si proiettano verso l’universale.

La critica al patriarcato, l’interesse per il transfemminismo, le questioni di genere, le infinite possibilità del corpo, così come le minoranze, i margini, le possibilità di trovare altre modalità di vedere il mondo, di andare in controtendenza, insieme alla messa in discussione dell’autorialità attraverso l’attivismo del collettivo e la firma condivisa, inseriscono la sua ricerca tra le urgenze più diffuse della sua generazione.

Nel momento in cui avviene questo studio visit, è ancora in corso la mostra dei residenti alla Fondazione Bevilacqua La Masa di cui fa parte, ed è in programma un progetto per gli spazi espositivi di Exibart a Roma. In questi due ambiti, la sua ricerca si interroga sugli scambi, amorosi o conflittuali, che si instaurano all’interno di una coppia. Concentrandosi sulla metafora romantica del mare, lavora con i materiali del suo quotidiano, analizzando le dinamiche di tensione inerenti a ogni relazione. Con il collettivo Plurale, invece, sta producendo un EP per la galleria Vannucci di Pistoia e sta sviluppando un progetto sulla problematizzazione dell’estetica trap per lo spazio Adiacenze di Bologna. In quest’ultimo, la trap viene utilizzata come pretesto per parlare di come le ultime generazioni concepiscano e comprendano il rapporto con sé stessi, con l’altro sesso e come sviluppino un senso di appartenenza e stabilità nel mondo. Risulta interessante notare come l’artista, individualmente, parta dal personale per arrivare all’universale mentre con Plurale proceda invece in modo opposto, analizzando, per esempio, dinamiche sociali come la visione eteronormativa dei corpi, per arrivare agli esiti cui giunge la pratica transfemminista, dove sessualità e piacere diventano spazio politico.

La centralità dell’elemento autobiografico potrebbe esaurire urgenze e spunti, mentre lo sguardo rivolto a filoni della storia della performance potrebbe blindarla all’interno di problematiche, argomenti e contesti già indagati precedentemente. Avendo come riferimenti Valie Export e Gina Pane da un lato e Cesare Pietroiusti dall’altro, le sue performance si contraddistinguono per una struttura asciutta, prive di scenografia e ornamenti, e in questo momento storico potrebbero risultare meno efficaci rispetto alle attuali modalità della performance.

Tuttavia, la sensazione rimane quella che l’artista voglia superare queste strutture, evolvere senza pressioni, senza fretta e senza vincoli per arrivare a una formalizzazione e a una presentazione essenziali ma non scarnificate, celando una morbidezza che emerge solo in un secondo momento ed evitando di cadere nella trappola di ripetere modelli o strategie performative collaudate in passato.

Foto Giacomo Bianco
Foto Sindi Karaj